Partiamo da un dettaglio. È la prima volta in undici anni, tanti ci separano da Tradimento, primo album di Fabri Fibra uscito per una major, la Universal, che esce un lavoro del rapper marchigiano sprovvisto del Parental Advisory. Per capirci, il Parental Advisory è quell’adesivo su cui sta scritto ai genitori di prestare attenzione, perché nell’album sono contenuti testi espliciti. Un dettaglio, questo, significativo, non fosse che non risponde affatto al vero.
Fenomeno, questo il titolo del nuovo lavoro di Fibra, è un album ‘esplicitissimo’, anche se le parole esplicite che dice, le tante parole esplicite che dice, non sono necessariamente volgari, come magari è successo in passato. Fenomeno è un album maturo, questo sì, ma è tagliente come forse non mai, proprio in virtù di questa maturità, anche anagrafica, di Fibra. Chiaramente, stavolta non si parla di “mongoloidi” o di scoparsi una ragazza ubriaca approfittando delle mestruazioni per poterle venire dentro senza correre rischi di metterla incinta, ma forse anche perché il terreno di gioco è più alto, il risultato è davvero sorprendente, fenomenale.
Fabri Fibra è un esistenzialista. Un esistenzialista che si guarda intorno e non fa sconti a nessuno, a partire da se stesso passando alla sua famiglia, ai suoi colleghi, alla società. Tutti morti, senza feriti o prigionieri. Tolta l’ostilità di un certo linguaggio, volutamente sgradevole, come nei casi su citati, Fibra riesce a portare a casa testi decisamente incisivi. Nel farlo, oggi, decide di fare i conti con la musica che gira intorno, compresa certa musica di merda, come la trap (non bastava la Dark Polo Gang?), riuscendo però nell’impossibile impresa di farsi ascoltare.
Il nemico numero uno di Fibra, un po’ come succedeva all’Eminem che una quindicina d’anni fa, poco più, ha portato il rap a diventare popolare anche da noi, è l’ipocrisia. Su quella si scaglia con violenza, menando alla cieca. Lo dico consapevole di essermi inerpicato su un burrone, a rischio di cadere sulla scogliera sottostante. Fenomeno di Fabri Fibra è qualcosa che lo avvicina al Vasco Rossi migliore. Lo è per scelta artistica, perché stavolta Fibra opta per liriche meno complesse, più semplici e leggibili, comprensibili al primo passaggio, e lo è perché Fibra come Vasco sta passando dall’essere un “cattivo maestro” a quasi un filosofo che preferisce guardarsi dentro più che concentrarsi troppo sull’esteriorità, conscio che la guerra è già stata persa. Traccia dopo traccia l’esterno va scomparendo, e a uscire fuori è Fabrizio Tarducci, vero protagonista delle ultime due canzoni in tracklist.
Una sorta di viaggio che parte dalla superficie e arriva al cuore, sanguinante. Sono proprio Nessun aiuto e Ringrazio le due canzoni più potenti della covata, anche se sarà ahinoi Pamplona, che vede Fabri Fibra in compagnia degli onnipresenti Thegiornalisti, a diventare la hit delle hit di questo lavoro e probabilmente dell’estate. Nessun aiuto e Ringrazio, due canzoni nelle quali parla del rapporto con suo fratello Nesli e con sua madre in termini talmente dolorosi da rendere i vari “mongoloidi” e affini del passato quasi gradevoli. Perché fa più male guardargli dentro che sentirlo dire “cacca” e “pipì”, come sempre succede. Una vera botta sui denti, che ci mette a disagio, come in effetti l’arte dovrebbe sempre fare. Un notevole passo avanti, quindi, che è in qualche modo quanto di più lontano dall’ostico Squallor, ultimo lavoro del nostro, tanto quanto la sua logica conseguenza. Basi più dritte, volendo più leggere, sopra le quali Fibra fa Fibra, col suo flow riconoscibilissimo. Un flow, ma soprattutto una cifra, la sua, che oggi sembra aria pura in mezzo a un inquinamento sonoro che ci sta uccidendo.