“Questa è un’organizzazione che parte dai pollici spezzati dietro il benzinaio di Corso Francia e arriva al sindaco della città”. Il pubblico ministero Giuseppe Cascini descrive così il “mondo di mezzo” di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, la “mafia capitale” che sta arrivando ora alla fase finale del primo giudizio. Due anni di udienze, centinaia di testimoni, una partita spesso giocata fuori dall’aula, tra citazioni in altre udienze, accuse pesanti ai giornalisti. Forse il processo più importante per Roma, costretta a guardarsi allo specchio, a ripescare dai faldoni archiviati troppo in fretta pezzi di storia che pesano ancora. Con un protagonista diventato simbolo, Carminati, il “nero”, il “samurai”, il “cecato”, pronto a dichiarare in aula senza tanti problemi di “essere ancora in guerra”, di non temere nulla: “Nun me ne frega niente”, versione romana del me ne frego fascista, scandita mentre in aula – nel pubblico – altri “camerati” romani ascoltavano in silenzio. La discussione finale è iniziata, facendo prevedere una sentenza entro la pausa estiva del prossimo luglio. I tre pubblici ministeri – oltre a Giuseppe Cascini i pm Paolo Ielo e Luca Tescaroli – si alterneranno per tre giorni, ricostruendo la tesi accusatoria che portò nel dicembre 2014 a decine di arresti, facendo crollare il sistema del colosso delle cooperative sociali “29 giugno”. Il punto di partenza è il perno centrale dell’inchiesta: quella di Buzzi e Carminati non è una semplice associazione per delinquere, sostiene l’accusa, ma una vera e propria organizzazione mafiosa, che rientra a pieno titolo nel 416 bis. Non ci sono solo molti anni di carcere di differenza – in caso di condanna – tra la due ipotesi. C’è in gioco la tesi di una Roma profondamente mafiosa e non più solamente isola dove convivono organizzazioni criminali del Sud Italia.
Mafia capitale viene da lontano – “Non dobbiamo stabilire se c’è la mafia a Roma, sappiamo che c’è”, ha spiegato Giuseppe Cascini. “Lo sappiamo dalle misure patrimoniali, dai processi celebrati e in corso. Non dobbiamo stabilire qualcosa che già si sa, che si conosce”. Il problema vero è capire il ruolo del gruppo sotto processo e quanto sia “mafioso” il loro modo di agire. Una questione che la procura individua bene all’interno della giurisprudenza consolidata sull’articolo 416 bis del codice penale: “C’è una mafia senza coppola – ha spiegato il pubblico ministero – e, dice la cassazione, c’è una mafia senza lupara, che non ha bisogno delle armi per poter intimidire”. E’ una questione di radicamento storico e di riconoscibilità: chi incontra un affiliato di un gruppo mafioso sa cosa c’è dietro di lui e per questo lo teme, anche se non impugna un arma in quel momento. “Sicuramente l’organizzazione sotto processo esiste – ha poi proseguito il pm Cascini – e affonda le sue radici in anni lontani. Sul piano soggettivo, alcuni protagonisti sono stati collegati e in rapporti di amicizia con l’organizzazone criminale degli anni ‘80, la Banda della Magliana”. Massimo Carminati ha poi una storia che va oltre il gruppo criminale: “Il suo percorso si interseca con la banda della Magliana, certo, ma si intreccia con l’eversione di destra”. E’ un personaggio cerniera, che appartiene a più mondi, che collega organizzazioni diverse: “Ed ecco la teoria del mondo di mezzo – aggiunge Cascini – contenuta in quella intercettazione che descrive perfettamente il ruolo di Carminati nel mondo criminale romano e di questa organizzazione nel mondo criminale romano. E se lui l’ha fatta scherzosamente alla fine conta poco”.
La destra, tra mafia ed eversione – Capire la storia di Roma tra gli anni ‘70 e ‘80 è dunque la chiave per pesare un personaggio come Massimo Carminati. E in fondo è lui stesso a raccontare la sua traiettoria, quella guerra che continua ancora oggi, che lo ha visto “ferito” ad un occhio in una sparatoria con la Digos nel 1981, quando “erano queste le regole d’ingaggio”, come ha spiegato durante il suo interrogatorio in aula. Una “guerra” che ha visto protagonisti “gli esponenti dell’eversione nera, ‘rivoluzionari armati’ come si chiamavano loro, rapinatori e assassini, in stretti contatti con i trafficanti della banda della Magliana”, ha commentato Giuseppe Cascini durante la prima parte della requisitoria. La chiave del processo è qui: quella rete di relazioni e connivenze ha mostrato un peso di intimidazione anche quando Carminati si unisce a Buzzi, sostituendo la vecchia attività di recupero credito con “l’acquisizione di appalti, commesse pubbliche e attività economiche”. Carminati aveva bisogno in fondo di mantenere viva quell’aura nera e criminale: “Il senso chiarissimo dell’intercettazione dove commenta l’articolo dell’Espresso (‘I quattro re di Roma’, ndr) è in fondo questo, lui dice chiaramente ‘questo ci fa comodo al nostro lavoro’”. Fa comodo che si parli di lui, spiega il pm, che Roma conosca quello che ha fatto e, soprattutto, quello che potrebbe fare. “E il senso di impunità di cui ha goduto in questi anni – ha aggiunto Giuseppe Cascini – ha giocato a suo favore”. Intoccabile, ‘nero’, pericoloso.
“Buzzi e Carminati inattendibili” – Il pubblico ministero Paolo Ielo – intervenuto in apertura della requisitoria – ha messo a confronto le dichiarazioni in aula di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati con gli elementi acquisiti dalla Procura e con i verbali degli interrogatori del 2015. “Dicono che le loro erano battute, ma perché mai dovevano andare nella sede della cooperativa ‘29 giugno’ per fare i bontemponi? Perché Buzzi avrebbe dovuto dire sciocchezze a Carminati?”. E sul tono di alcune intercettazioni Paolo Ielo non ha dubbi: “Noi abbiamo gli audio sul nostro desktop, ascoltatele anche voi quelle intercettazioni, ascoltate il tono, verificate se erano ‘chiacchiere da bar’ come sostengono gli imputati”. La Procura ha poi ricordato come il gruppo si proteggesse utilizzando sistemi per evitare le intercettazioni, come il Jammer installato da Carminati durante le riunioni nella sede della cooperativa ‘29 giugno’. “Spiegheremo perché non sono credibili gli imputati quando dicono che erano sistemi per evitare lo spionaggio industriale (lo ha dichiarato Carminati, ndr): parlavano di come condizionare gli appalti, tema che in Italia non è certo un segreto”. Paolo Ielo ha quindi chiuso rimarcando l’importanza e il peso degli audio registrati dal Ros durante le indagini: “Non era un reality dove sapevano di essere registrati. Ascoltate i toni, se queste intercettazioni fossero avvenute tra napoletani, siciliani, calabresi, nessuno avrebbe detto che non erano credibili. E se le intercettazioni erano di extracomunitari venuti sui barconi che si proteggevano con Jammer, parlando di attentati, non li avremmo ritenuti attendibili?”.
Entro l’estate la sentenza – La requisitoria della Procura durerà fino al 26 aprile prossimo, tre udienze in tutto considerando la pausa per il periodo pasquale. I pm Ielo, Cascini e Tescaroli presenteranno una memoria finale, con gli approfondimenti citati durante i loro interventi. Toccherà poi alle 22 parti civili costituite nel processo, che occuperanno le udienze del 27 aprile e del 2 e 3 maggio. Da lunedì 8 maggio inizierà la discussione delle difese, al ritmo di 12 interventi a settimana, per l’intero mese di maggio. A giugno discuteranno i collegi difensivi degli ultimi dieci imputati, molto probabilmente quelli con le accuse più pesanti. La camera di consiglio e la sentenza sono previste per il prossimo fine giugno.