Fuori i truffati che protestano pacificamente, dentro il nuovo management delle due ex popolari vicentine che illustra in conferenza stampa i risultati definitivi della proposta di transazione rivolta ai vecchi azionisti e i prossimi, difficili passi del tentativo di salvataggio. Accade a Padova, all’Hotel Four Point. I vertici di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca spiegano di aver rinunciato alla sospensiva sull’offerta che non ha raggiunto il livello minimo dell’80% e che dunque entro cinque giorni pagheranno il corrispettivo a coloro che hanno aderito. E’ l’unica mossa possibile per tentare di andare avanti e proseguire le trattative per arrivare alla ricapitalizzazione preventiva, con l’ingresso dello Stato nel capitale. Nel caso della Popolare vicentina, la transazione tombale riguarda il 71,9% dei vecchi soci (68,7% delle azioni cui era rivolta l’offerta) cui la banca verserà complessivamente 192,8 milioni di euro, mentre per quanto riguarda Veneto Banca la cifra sale a 248,5 milioni di euro a fronte del 72,6% di adesioni (67,6% del capitale compreso nel perimetro dell’offerta).

Detto così sembrano grandi cifre, in realtà si tratta di una miseria: 9 euro per azione a fronte dei 62,50 euro pagati, il 14,4% di indennizzo per la Popolare di Vicenza (15% per Veneto Banca), praticamente 1.440/1.500 euro ogni 10.000 euro investiti. Non stupisce che gli azionisti non siano corsi in massa, tanto più che accettando l’indennizzo si rinunciava automaticamente ad agire contro la banca, o altre società del gruppo bancario, “o loro amministratori, sindaci, revisori o dipendenti, attuali o pregressi, per qualunque ragione o causa, in qualunque sede (sia civile che penale), in relazione a tutte le operazioni di acquisto o sottoscrizione” delle azioni, “o al mancato loro disinvestimento”. L’obiettivo delle due banche era quello di ridurre significativamente il contenzioso potenziale, una zavorra che i due istituti non sono però riusciti a scrollarsi del tutto dalle spalle e per la quale dovranno mantenere accantonate cospicue risorse per parecchi anni. Ma, come detto, accettare le adesioni alla transazione anche se per una percentuale inferiore al minimo dell’80% è l’unica possibilità che le due banche hanno per tentare di andare avanti.

I prossimi passi sono legati alla trattativa con Bruxelles, dopo che nei giorni scorsi la Bce ha deciso che sia la Popolare di Vicenza, sia Veneto Banca sono solvibili e hanno i requisiti per accedere alla ricapitalizzazione preventiva, fissando in 6,4 miliardi di euro l’esborso di capitale. Per il salvataggio non c’è un vero e proprio calendario: la trattativa con Bruxelles “vede tutte le due banche impegnate a lavorare in modo unitario perché sempre più si lavora guardando al progetto unitario – ha detto in conferenza stampa l’ad della Popolare di Vicenza, Fabrizio Viola, facendo riferimento al progetto di fusione delle due ex popolari – L’interlocuzione con le autorità europee è seria, costruttiva. L’obiettivo è arrivare a risultati in tempi brevi. Oggi è assolutamente prematuro arrivare a numeri e tempi”. La fusione comporterà in ogni caso un drastico ridimensionamento dei due istituti con moltissimi esuberi e Viola ha cercato di gettare il più possibile acqua sul fuoco, sottolineando che “l’obiettivo è non fare macelleria sociale” e che l’intenzione è quella di “usare tutti gli strumenti messi a disposizione anche dal governo per raggiungere l’obiettivo” di ridurre i costi, “avendo i minori effetti possibili sulla società. Nessuno gode a mandare sulla strada la gente, ma dobbiamo essere consapevoli che la situazione è molto, molto grave”. E i numeri, come lascia a intendere, potrebbero peggiorare rispetto a quanto preventivato dai vertici dei due istituti: “Il piano non possiamo renderlo pubblico perché non è stato approvato e potrebbe subire significativi cambiamenti. L’obiettivo personale è di intervenire in misura significativa sui costi della nuova banca. Il cost income è uguale al 100%, è un numero che si commenta da solo, senza troppe analisi tecniche – ha aggiunto -. Ridurre in maniera significativa i costi complessivi è un obbligo morale, le banche che si rispettano sono sulla metà”.

Insomma, a buon intenditor poche parole. Quanto all’idea di lasciare la tolda di comando in seguito all’ingresso dello Stato nel capitale, bisogna dire che non sfiora né Viola, né l’ad di Veneto Banca Cristiano Carrus. Viola parla a nome di entrambi e conferma: “Abbiamo un obiettivo che è quello di completare il risanamento di queste due banche attraverso la fusione. E’ un’esperienza anche emozionante, perché creare una nuova banca è un’esperienza emozionante. Dopo di che questa nuova banca avrà nuovi azionisti”, che decideranno. Insomma, un orizzonte temporale di diversi anni perché è evidente che i nuovi azionisti cui Viola fa riferimento sono quelli che rileveranno un domani lontano (2020-2022?) la quota di capitale dello Stato. Ammesso e non concesso che il salvataggio riesca poi davvero: la fusione come unico orizzonte per ridurre i costi e cercare di ripartire non sembra una prospettiva elettrizzante, tanto più se a metterla in atto sono due istituti la cui credibilità e immagine è scesa sotto zero e che per far fronte alle esigenze di liquidità sono costretti mese dopo mese a emettere nuovi bond con la garanzia di Stato. Ma tant’è. Viola ha anche auspicato di riuscire a trovare un accordo fuori dalle aule del tribunale con Cattolica Assicurazioni, che ha sciolto l’accordo con Popolare Vicenza e che pretende dalla banca 186,1 milioni per l’esercizio dell’opzione di vendita sulle partecipazioni nelle joint venture bancassicurative “come previsto dagli accordi di partnership”. Accordi che evidentemente Vicenza non vuole o non è in grado di onorare.

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