In un interessante articolo apparso lo scorso giugno sul Corriere della Sera, Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche di itinerari previdenziali e Paolo Novati, membro dello stesso, evidenziavano come il carico fiscale in Italia sia fortemente distributivo e denoti un sistema assai solidale.
In particolare, le statistiche diffuse dal ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), e riportate nell’articolo, rendevano noto come, a fronte delle dichiarazioni dei redditi 2015, circa 30,7 milioni di cittadini non avessero versato alcuna imposta diretta e che tra i 30 milioni circa di cittadini “conosciuti al fisco” 10,1 milioni dichiarassero redditi inferiori a 7.500 € l’anno e altri 8,5 milioni redditi inferiori a 15.000 € l’anno.
Ciò, unitamente alla progressione delle imposte, fa sì che lo 0,08% dei cittadini sostenga il 4,71% delle imposte dirette, lo 0,19% si occupi del 7,29% del totale, l’1,04 % si faccia carico del 16,91%, il 4,13% partecipi al 33,64% e, infine, l’11,28% della popolazione versi al fisco il 52,52% del gettito totale.
Un panorama anomalo, certamente dovuto in maggior parte all’evasione fiscale e che evidenzia una suddivisione del carico tale da giustificare la definizione di “ditattura della maggioranza”: una piccola minoranza di cittadini è legalmente costretta a sostenere interamente il carico fiscale necessario al mantenimento della struttura dello stato e dei suoi servizi, tra i quali, primariamente, il welfare.
Per dare un’idea anche visiva del problema, il grafico seguente mostra la distribuzione delle imposte dirette, con una rapidità della curva impressionante per gli ultimi 5 milioni di cittadini.
Considerando a titolo esemplificativo che nell’ambito del welfare la sola sanità costa circa 1.850 € l’anno per cittadino e che l’importo totale (circa 112 miliardi di euro) diviso per il numero dei contribuenti (circa 41 milioni) è di 2.762 €, è evidente che tutti coloro che versano un’imposta inferiore a tale importo non coprono tale costo. Anche qui ci viene in aiuto una rappresentazione grafica che chiarisce come solo a partire dalle fasce di reddito dichiarato compreso tra i 20.000 e i 35.000 € i contribuenti riescano a versare imposte dirette sufficienti a coprire almeno la propria quota dei costi della sanità.
L’esempio della sanità non è casuale. Si tratta del bisogno primario principale (ancorché al suo finanziamento concorrano anche altre imposte) ma soprattutto è una delle aree nelle quali i contribuenti accertati vengono ulteriormente tartassati dal nostro sistema che, spacciandosi per equo distributore di risorse, privilegia e incentiva gli evasori fiscali.
Nel caso specifico, la soglia di esenzione dal pagamento dei ticket sanitari è di circa 36.000 € annui per nucleo familiare e pertanto i contribuenti con redditi superiori a tale importo (o inferiori se un altro familiare ha un reddito) sono chiamati a pagare di nuovo le prestazioni che, tramite le imposte dirette versate, non solo finanziano già in modo totale la propria quota, ma, in misura crescente con il reddito, anche quella di tutti coloro che non hanno (o non dichiarano) reddito sufficiente.
Come se ciò non bastasse, la ministra Lorenzin starebbe immaginando un ulteriore balzello sui contribuenti che finanziano il sistema e già si ri-pagano parzialmente le prestazioni, ventilando di far pagare loro i ticket per ciò che già hanno ampiamente finanziato neppure più al netto delle imposte, bensì al lordo, eliminando la possibilità di detrarre almeno la quota del 19%.
Questo modello di accanimento sui contribuenti onesti non è limitato alla sanità, ma si riproduce implacabilmente per le spese universitarie, gli asili, le mense scolastiche e un’innumerevole moltitudine di altri servizi.
Già sento l’obiezione: “Lei vorrebbe far pagare i servizi a chi non può permetterseli”. No, i reali indigenti devono essere tutelati (non però coccolati, affinché non perdano ogni motivazione a cercare di uscire dall’indigenza) e, difatti, non proporrei mai di abolire le esenzioni, ma, anzi, di estenderle a tutti. In poche parole, i servizi erogati dallo stato devono essere gratuiti per tutti e le risorse per finanziarli vanno trovate nell’evasione fiscale.
Anziché incentivarla attraverso una pletora di esenzioni basate sul reddito accertato (anche l’Isee fa difetto se i beni sono intestati a prestanome e familiari di secondo grado e se la liquidità disponibile non transita attraverso conti bancari) occorre combatterla ferocemente con pene severissime, confisca dei beni, revoca di licenze, espulsione dagli albi professionali.
Solo dopo che questo sarà accaduto e finalmente i redditi dichiarati saranno almeno vicini al vero, chi è chiamato a pagare per i servizi potrà smettere di sentirsi “cornuto e mazziato“. A quel punto, emergerebbe senza attenuanti il vero problema: senza una riforma dello Stato che elimini lo spreco delle risorse e il loro uso clientelare ed elettorale, neppure un erario efficace, con imposte pagate da tutti e in modo progressivo riesce a finanziare i servizi. Ma questo è un altro problema