Una condanna per due imputati per complessivi otto anni, a conclusione di un'inchiesta che ha svelato il meccanismo con cui sono stati contattati due stranieri da anni in Italia e convinti a lasciare lavoro e famiglia per partecipare alla guerra in Medio Oriente. Di questi ultimi, uno è morto sul campo. L'altro è latitante e per lui il giudizio è rinviato al 25 maggio
Prima condanna in Italia per i reclutatori di foreign fighters, i combattenti che partono per la Siria dove ingrossano le fila dell’esercito dell’Isis. Una condanna per due imputati per complessivi otto anni, a conclusione di un’inchiesta che ha svelato il meccanismo con cui sono stati contattati due stranieri da anni in Italia e convinti a lasciare lavoro e famiglia per partecipare alla guerra in Medio Oriente. Di questi ultimi, uno è morto sul campo. L’altro è latitante e per lui il giudizio è rinviato al 25 maggio.
Nell’aula bunker di Mestre il gup Massimo Vicinanza ha accolto le richieste del pubblico ministero antiterrorismo Francesca Crupi. Quattro anni e 8 mesi sono stati inflitti a Ajhan Veapi, 37 anni, originario della Macedonia, residente ad Azzano Decimo in provincia di Pordenone; tre anni e 4 mesi a Rok Zavbi, 26enne sloveno. Entrambi erano accusati del reclutamento, avvenuto in provincia di Belluno, di Munifer Karamaleski, macedone residente a Chies d’Alpago, che aveva 28 anni, e dello slavo Ismar Mesinovic, 36 anni, che è morto in Siria combattendo contro le truppe d Assad. Mesinovic faceva l’imbianchino e lasciando l’Italia aveva portato con sé il figlio di due anni, di cui si sono perse le notizie.
Veapi e Zabvi erano gli emissari di Bilal Bosnic, l’”imam del terrore” che è in carcere a Sarajevo dove è stato condannato a sette anni di reclusione. Era lui l’ispiratore delle trame e di una rete che cercava volontari da portare al fronte. Instaurava contatti con le persone che si dimostravano più sensibili durante incontri che avvenivano in centri di preghiera o moschee. Gli investigatori hanno trovato tracce del passaggio di Bosnic in Friuli, in particolare a Trieste.
Durante l’inchiesta e il processo Veapi e Zavbi hanno tenuto comportamenti molto diversi. Quest’ultimo, che è detenuto nel carcere di Tolmezzo, si è dissociato dal’Isis e si può definire il primo pentito dell’organizzazione in Italia. Infatti, ha ammesso molti dei fatti che gli sono stati contestati. Il suo difensore, l’avvocato Sano Sanzin, ha sottolineato come l’uomo avesse un passato di vicissitudini e quindi era particolarmente vulnerabile alla predicazione dell’imam Bosnic, al punto da ritenere che fosse stato plagiato da lui. “Ma in Siria ci andò solo per due mesi, come infermiere e non per combattere. Adesso è dissociato”. Veapi, assistito dall’avvocato Luca Bauccio, ha tenuto invece una posizione da irriducibile. Non a caso è detenuto nel carcere di Nuoro, in Sardegna, dove si trovano molti estremisti islamici che vengono fermati in Italia. Per alcuni anni aveva lavorato in un’azienda del Pordenonense e frequentava il centro islamico della Comina. Nei primi tempi aveva un comportamento piuttosto anonimo. Poi la svolta. Aveva cominciato a radicalizzarsi e frequentava con assiduità la moschea. Sull’ambiente di lavoro sosteneva accese discussioni in cui difendeva l’estremismo religioso.
I due reclutatori, quando avevano contattato Karamaleski e Mesinovic avevano impartito direttive precise sulle modalità con cui dovevano lasciare l’Italia e sull’equipaggiamento che avrebbero dovuto avere per essere utili alla causa dell’Isis.