Striscioni in difesa di Ezequiel Lavezzi sulle curve dello stadio San Paolo. Gli ultras schierati a tutela di “El Pocho” nel periodo di tensione con la Società Calcio Napoli. La mediazione di un boss della camorra, Antonio Lo Russo, ora pentito, in cambio della promessa da parte del calciatore argentino: quella di non lasciare mai la sua squadra per andare a giocare per una delle rivali, la Juventus o l’Inter. Lo ha raccontato alla Commissione parlamentare antimafia Enrica Parascandolo, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, descrivendolo come “un episodio quasi da gossip di coloro sul quale non ravviso profili di rilevanza penale”.
Dopo il caso riguardante la Juventus, il magistrato partenopeo è stato chiamato a Palazzo San Macuto per riferire le informazioni sui contatti tra clan della camorra, tifoseria e la squadra partenopea a partire da alcuni episodi passati, come la figura di Genny ‘a Carogna (al secolo Gennaro De Tommaso, condannato a 10 anni per traffico internazionale di droga) e la presenza del boss Lo Russo a bordo campo durante Napoli-Parma. Parascandolo chiarisce un equivoco: allo stadio San Paolo di Napoli il 10 aprile 2010 Lorusso non era ancora un latitante, lo sarebbe diventato poche settimane dopo. Quella non era l’unica volta in cui l’uomo assisteva a una partita degli azzurri a bordo campo: aveva visto gli incontri con la Roma, la Fiorentina, il Catania e il Cagliari. “Era presente a bordo campo grazie a un pass ricevuto come giardiniere”. Non era l’unico uomo dei clan a farlo. Dagli elenchi di persone autorizzate ad accedere a bordo campo nella stagione 2009/2010 emerge che altri entravano come giardinieri, fotografi, operatori tv e altro. Su questo aspetto la procura della Figc ha archiviato l’indagine perché “si è dimostrato che la Società Calcio Napoli non avesse nessun potere di scelta o verifica sui giardinieri (…). Nessun rapporto diretto intercorreva tra i citati giardinieri e la società calcio Napoli”.
Le sorprese non sono finite. Lo Russo è diventato un collaboratore di giustizia e tra le cose raccontate ai pm ci sarebbero anche aspetti riguardanti la sua passione per il Napoli, di cui era ed è tifosissimo al punto da seguire la squadra anche in trasferta e intrattenere rapporti coi calciatori (ma “ha escluso categoricamente ogni tipo di rapporto con la società calcio Napoli”, ha precisato la pm). Neanche in questo caso sarebbe l’unico esponente dei clan ad amare le curve. Secondo la rappresentante della Dda partenopea, “è un dato che all’interno dello stadio San Paolo esista una suddivisione tra la curva A e la curva B che in qualche modo rispecchia una provenienza territoriale della tifoseria, dove per provenienza territoriale mi riferisco anche ai clan camorristici”. In curva B si trovano i tifosi di Secondigliano da cui arriva il clan Lo Russo, mentre nella curva A ci sono quelli del centro di Napoli: “È notorio che Genny a Carogna proviene da quella curva”, ha aggiunto Parascandolo sottolineando che con questo non vuole dire che tutti i tifosi della curva siano legati ai clan, ma che ci sia una distinzione tra territori.
I contatti tra le curve erano comunque difficili, ma Lo Russo era riuscito a unirli in onore del “Pocho”. Lo ha detto ai pm il giovane boss spiegando come Lavezzi volesse nelle curve uno striscione in sua difesa e si rivolse a lui per ottenere l’esposizione dello striscione in entrambe le curve. Non facile perché vuole dire “avere il placet di due aree geo-criminali diverse”. L’intervento di Lorusso, però, avrebbe portato a questo risultato. In cambio aveva ottenuto una promessa: “Non sarebbe mai andato a giocare alla Juventus o all’Inter, ma all’estero”. Frasi mai verificate dalla Dda di Napoli. Tuttavia sembra certo che calciatore e boss tifoso fossero in buoni contatti al punto che i due avevano due telefonini “dedicati”, i cosiddetti citofoni, per parlare tra di loro cercando di evitare le intercettazioni. “Quando Lo Russo si è sottratto alla cattura il 5 maggio 2010 diventando latitante, ha fatto in modo che Lavezzi venisse avvisato affinché si disfacesse della scheda”. “Tutto tranquillo”, appunta con sarcasmo la Bindi, secondo la quale anche a Napoli, come a Torino, si sottovalutano gli interessi criminali delle curve.