Politica

“Ho molti amici gay”, storia del pregiudizio contro gli omosessuali. Dai “soliti” leghisti agli insospettabili del Pci

Ci sono Calderoli e Giovanardi e nessuno si stupisce. Ma "Ho molti amici gay", l'ultimo libro di Filippo Maria Battaglia, racconta come il vocabolario discriminatorio attraversi i decenni e gli schieramenti: capi di Stato, ministri, parlamentari, leader di partito. Come quella volta di Togliatti e Berlinguer

Ci sono i leghisti e figurarsi se qualcuno si stupisce. C’è Giovanardi e ce lo si poteva aspettare. C’è pure il celebre motto mussoliniano (nel senso di Alessandra): “Meglio fascista che frocio” in diretta Rai. Ma ci sono anche gli insospettabili, i padri della Patria, i dirigenti politici che hanno fatto un buon pezzo della Storia d’Italia. Come Palmiro Togliatti, il Migliore, il capo del Partito Comunista Italiano fino al 1964. Fino a quello che nessuno si potrebbe aspettare: Enrico Berlinguer. “Da sempre la politica italiana dice di non avere ‘nulla contro gli omosessuali’ eppure da sempre li discrimina. C’è chi invoca ‘sobrietà’, chi chiede ‘discrezione’, chi scomoda la Bibbia, chi ricorre a citazioni d’autore. Passano gli anni, cambiano toni e interlocutori ma il risultato – nonostante gli ultimi passi in avanti – resta lo stesso: dal fastidio e la diffidenza fino agli insulti e alle aggressioni verbali”. Ho molti amici gay (ed. Bollati Boringhieri, pp. 136, euro 11) è il nuovo libro di Filippo Maria Battaglia, giornalista di SkyTg24, che mette in fila insulti, scivoloni, gaffe e vere e proprie aggressioni verbali dei politici di ogni schieramento e di ogni tempo con il linguaggio discriminatorio dell’omofobia (qui un’anticipazione). “Sin dal Dopoguerra – si legge nella quarta di copertina – la crociata contro i ‘malati’ e gli ‘anormali’ recluta quasi tutti: capi di stato e di governo, ministri e parlamentari, segretari e leader di partito. Attecchisce a destra ma spopola pure a sinistra, coinvolgendo figure insospettabili e venerati padri della patria. Ho molti amici gay non è solo l’immancabile premessa di rito prima di ogni discorso omofobo, dentro e fuori dall’Aula parlamentare. È la storia, succinta e dettagliata, di quanto la discriminazione e il pregiudizio contro gli omossessuali siano radicati nella politica e nella società. Garantendo all’Italia l’infelice primato del Paese con la classe dirigente più omofoba in Europa”.

Qualche esempio? Si può partire da quelli più prevedibili, come gli esponenti della Lega Nord: “I romani hanno perso l’impero per questa storia qua: coi culattoni e il benessere, l’impero si è distrutto!” disse Santino Bozza, ex consigliere regionale del Carroccio che nell’occasione si trasformò anche in ricercatore storico. Alla fine Bozza fu espulso dal partito e, uscito dalla porta, rientrò dalla finestra in una lista che sosteneva la candidata presidente alla Regione Veneto per il Pd Alessandra Moretti. Dalla Lega Bozza fu espulso ma finché è rimasto avrà trovato un clima confortevole: “Essere culattoni è un peccato capitale: chi riconosce per legge le unioni è destinato alle fiamme dell’inferno” spiegò il vicepresidente del Senato (e evidentemente teologo) Roberto Calderoli. Il democristiano vero in realtà era appunto Giovanardi, eppure fu molto più terreno, mondano, quando nel 2012 volle chiarire come la pensa: “Un bacio in pubblico tra due omosessuali? Come la pipì in strada“. Ma anche chi la pipì la vuole fare in bagno provoca proteste e indignazione varia. Per esempio il deputato Vladimir Luxuria, alla Camera, andava a farla in quello delle donne e Elisabetta Gardini (Forza Italia) si scandalizzò, peraltro scoprendo cose che in bagno nessuno si sarebbe immaginato di trovare: “Non potete permetterglielo! Credevo fosse un problema di organizzazione interna, ho scoperto questa guerra di civiltà interna all’Occidente di relativismo subdolo“.

Più Battaglia procede a ritroso, nel passato, più i nomi si fanno grandi, fino ai giganti della storia. Il ministro Carlo Donat Cattin, uno dei capi della sinistra Dc, nel 1987 intervenne così sulla prevenzione dell’Hiv: “Non posso certo fare la réclame del coito anale né dei preservativi, che non sono sicuri contro l’Aids perché sbordano e si rompono”. Anche perché, aggiunse, “questi, oltre che omosessuali, sono anche maniaci. I miei funzionari li ascoltano, io ho altro da fare”. Una quarantina d’anni prima Togliatti non risparmiò André Gide, premio Nobel per la Letteratura del 1947 che – dopo un suo viaggio nella Russia stalinista – aveva scritto un libro sulla esperienza, naturalmente carica di delusione. Il Migliore reagì con misura: “Se quando ha visitato la Russia nel 1936 gli avessero messo accanto un energico e poco schizzinoso bestione che gli avesse dato le metafisiche soddisfazioni ch’egli cerca, quanto bene avrebbe detto, al ritorno, di quel Paese!”. Infine la ferrea morale che diventava moralismo nel Pci portò Enrico Berlinguer a pubblicare su Gioventù Nuova una condanna di Jean-Paul Sartre, “un degenerato lacchè dell’imperialismo, che si compiace della pederastia e dell’onanismo”.

Scrive Battaglia: “Si chiama tolleranza repressiva e si può sintetizzare così: non è vero che tutto ciò che non è reato è permesso. Al contrario, l’assenza di una norma, a volte, non significa libertà ma solo repressione. Lo sanno bene i parlamentari nostrani che, a differenza di quanto accaduto in Francia, Germania, Gran Bretagna, non hanno mai approvato una legislazione punitiva contro gli omossessuali. Ma attenzione: non sanzionare non vuol dire consentire”. La legge sull’omofobia è ferma al Senato – mai discussa – da tre anni e mezzo, cioè da quando la Camera dette il primo via libera.

Ho molti amici gay è il quarto di una serie di volumi con cui Battaglia ha cercato di rinfrescare la memoria cortissima degli italiani sui vizi della politica, sempre uguali a se stessi nel corso dei decenni. Il primo è stato Lei non sa chi ero io! che raccontava gli sprechi dei primi vent’anni della Repubblica: la genesi della Casta, insomma. Poi è uscito Stai zitta e va’ in cucina sul maschilismo in politica (“Da Togliatti a Grillo”) e Bisogna saper perdere che Battaglia ha scritto con Paolo Volterra facendo una raccolta delle sconfitte e i tradimenti in politica, da De Gasperi a Renzi.