“L’agricoltura mista prevede la coltivazione di diversi raccolti sui campi e la rotazione da un anno all’altro, mentre si inframmezza la produzione agricola con il pascolo degli animali. È stata a lungo un modo più naturale di produrre cibo, garantendo la fertilità del suolo, migliorando i raccolti ed evitando l’infestazione di parassiti e malattie. Questo tipo di agricoltura ha dominato i paesaggi fino a pochi decenni fa, quando è stato usurpato da una nuova era chimica di monocoltura industriale. L’agricoltura sembrava essersi liberata dalla sua secolare dipendenza da Madre Natura: apparentemente, un motivo di festa. Ma il prezzo da pagare è stato alto”. Soprattutto per la fauna selvatica e la biodiversità. Da quando l’agricoltura e l’allevamento intensivi sono diventati lo standard, con annessi pesticidi e fertilizzanti chimici, numerose specie animali si stanno estinguendo.
Affronta questo tema “Dead Zone” (edito da Nutrimenti), il nuovo libro di Philip Lymbery, già autore di “Farmageddon” e direttore internazionale di CIWF, la più importante organizzazione per il benessere degli animali da allevamento. Per nutrire le decine di miliardi di animali allevati ogni anno nel mondo, si disboscano foreste e habitat naturali per far spazio a ciclopiche monoculture di soia e cereali. “Circa settanta miliardi di animali da fattoria sono allevati ogni anno per scopi alimentari: due terzi di essi in allevamenti intensivi dove consumano ininterrottamente cibo che potrebbe essere utilizzato per sfamare miliardi di persone affamate” annota Lymbery. Ogni capitolo di “Dead Zone” è dedicato a una specie animale iconica, e la storia di ognuna di esse si intreccia con gli impatti dell’allevamento intensivo.