Le accuse di smaltimento illecito di rifiuti e l’ombra di Cosa nostra si allungano sulla bonifica di Micorosa. Si tratta di una discarica di 44 ettari alle porte di Brindisi che custodisce dagli anni Ottanta circa 1,5 milioni di metri cubi di fanghi tossici, frutto delle produzioni nel petrolchimico ex Montedison. Un lavoro atteso da trent’anni, finanziato con oltre 19 milioni di euro di fondi pubblici. È quanto ilfattoquotidiano.it ha ricostruito seguendo gli intrecci societari dell’associazione temporanea d’imprese vincitrice della gara bandita dal comune pugliese. E conferme si trovano nell’ordinanza del gip del tribunale di Catania, Giuliana Sammartino, che lo scorso 15 marzo ha disposto misure cautelari nei confronti di 14 persone, tra cui Carmelo Paratore e suo padre Antonino, ‘dominus’ della Cisma Ambiente Srl – titolare della discarica di Melilli in provincia di Siracusa – e descritto da quattro pentiti come “l’espressione imprenditoriale” di un esponente di vertice della cosca Santapaola. Accuse che tutti i protagonisti di questa vicenda rigettano nettamente, dichiarandosi estranei a ogni contestazione.
Micorosa, lo stagno dei veleni – I Paratore – per i pm ritenuti contigui almeno fino al 2010 a Maurizio Zuccaro, boss ergastolano e nipote di Nitto Santapaola – si occuperanno della bonifica di Micorosa attraverso la Paradivi Servizi, che salvo cambi in corsa parteciperà ai lavori. L’area alle porte di Brindisi, una delle eredità più critiche sotto il profilo ambientale dell’industria pesante italiana, è uno stagno costiero grande quanto 63 campi da calcio zeppo di sostanze tossiche. In quell’area l’ex Montedison ha scaricato i residui della lavorazione tra il 1962 e il 1980. Ammine aromatiche, cloruro di vinile, arsenico e altri 39 veleni sono presenti nel terreno fino a cinque metri di profondità con valori che superano i limiti di legge anche di milioni di volte e hanno contaminato la falda acquifera. Tramite lo Sblocca Italia, lo Stato ha stanziato 48 milioni per ripulire i 44 ettari, racchiusi nel Sito d’interesse nazionale per le bonifiche di Brindisi e confinanti con il parco naturale delle Saline di Punta della Contessa. Un paesaggio lunare, dove non cresce più un filo d’erba, che per qualcuno costituisce però un tesoro da 19,41 milioni di euro.
Chi ha vinto l’appalto (con un ribasso monstre) – A quel prezzo – frutto di un ribasso del 74% – è stato aggiudicato, il 24 novembre di tre anni fa, il primo stralcio della bonifica. La gara bandita dal Comune di Brindisi viene vinta dall’Ati formata dalla capogruppo Co.me.ap. di Catania e l’Artec Associati Srl di Taormina (non coinvolta nella ricostruzione del fatto.it), che si occuperà della fase di progettazione. Un anno dopo, la firma del contratto nel quale vengono indicate come “esecutrici dei lavori le designate Cogen Costruzioni Generali srl e Paradivi Servizi srl”, ovvero le due imprese che rappresentano il 97 per cento della Co.me.ap. Secondo le visure nelle disponibilità del fatto.it – datate 30 marzo 2017 – Cogen detiene il 92% del capitale, mentre il 5% è in mano alla Paradivi Servizi e altre tre aziende si dividono il restante 3 per cento.
Il controllo della Paradivi e “l’amico” con cui vincono – Ecco, quindi, i Paratore. Il gip del tribunale di Catania, che il 15 marzo scorso ne ha disposto il suo arresto e il sequestro delle quote, sostiene che Antonino, socio della Paradivi Servizi, “pur non rivestendo cariche direttive gestiva nei dettagli” la Cisma Ambiente e la stessa Paradivi Servizi “insieme al figlio Carmelo”. Quest’ultimo, consigliere di Co.me.ap. fino al 2006, aveva come ruolo principale quello di “intrattenere rapporti sociali
I fatti contestati a Catania – E a metà marzo l’indagine della Dda di Catania ha ricostruito quali sarebbero stati i rapporti dei Paratore fino al 2010 e come padre e figlio – per interesse proprio – avrebbero gestito 350mila tonnellate di rifiuti speciali, tra cui 40mila di polverino dell’altoforno Ilva, arrivate nella loro discarica di Melilli. Un modus operandi andato avanti per diversi anni che avrebbe provocato “enormi danni ambientali”. Le contestazioni sono diverse e “gravi”: dalle “ricette inventate sul momento da soggetti improvvisati” grazie alle quali rifiuti pericolosi e non venivano diluiti o mescolati fino alla mancata copertura dei rifiuti “per giorni”, come accertato dal Noe, che avrebbe causato “emissioni e la dispersione di polveri sottili”.
I protagonisti respingono le accuse. Il Comune: “Monitoriamo” – Il legale dei Paratore e della Paradivi Servizi, Carmelo Barreca, che ha anche curato il ricorso di Co.me.ap. contro l’interdittiva antimafia, definisce “infondate le accuse come dimostreremo in un’articolata memoria difensiva”. Mentre sulla vicinanza a Cosa Nostra, secondo l’avvocato, “i pentiti dicono cose confuse, non ci sono intercettazioni con Zuccaro né denaro di provenienza mafiosa è entrato nella società: esiste solo una conoscenza e qualche frequentazione passata”. Anche Giovanni Costanzo respinge in toto la sua presunta ‘protezione’: “A cosa dovrebbe servirmi? Non lavoro in Sicilia da anni. So chi è Zuccaro solo tramite le foto sui giornali”. E la presenza in Co.me.ap. della Paradivi? “Paratore è nato nel mio stesso paese, ma ormai ci sentiamo di rado. In ogni caso, siamo stati costretti a far rientrare la Paradivi, finora mai operativa nel consorzio: non so neanche se possa svolgere i lavori nella discarica di Micorosa a causa di un’attestazione Soa scaduta”. Al momento però, stando al contratto, la Paradivi risulta come “esecutrice”. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto chiarimenti anche all’attuale responsabile unico del procedimento: “Quando ci comunicheranno che stanno per eseguire i lavori, verificheremo se la società rispetta i requisiti – spiega Gaetano Padula, dirigente del Comune di Brindisi – Finora lo abbiamo fatto con Co.me.ap. Monitoriamo tutto e abbiamo al nostro fianco Regione Puglia e Sogesid, società in house del ministero dell’Ambiente che si occupa della direzione dei lavori”.