Ogni mattina Gherardo arriva in ateneo grazie a Uber. Nell’ufficio personale al MIT lavora con un ricercatore turco, uno taiwanese, un pakistano e un americano. Nella stanza accanto ci sono un ricercatore di Singapore, una tunisina e una cinese. Il suo tutor, invece, è canadese. Vive insieme a due ragazzi giapponesi, gioca in una squadra di calcio di spagnoli e francesi e fa parte di un’associazione di studenti italiani all’estero. Dopo aver lasciato l’Italia Gherardo Vita, 25 anni, originario di Firenze e cresciuto a Milano, studia il bosone di Higgs al Center for Theoretical Physics del Mit di Boston. Oggi è al secondo anno di PhD in cromodinamica quantistica: ha una laurea magistrale con lode in Fisica, esperienze lavorative alle spalle come informatico e diversi paper pubblicati: “In Italia le uniche offerte di lavoro che mi hanno fatto erano proposte di stage a 700 euro al mese”, racconta.
Dopo la laurea alla Statale di Milano, Gherardo ha tentato la strada del dottorato di ricerca facendo domanda in vari atenei statunitensi. Per entrare al Mit ha affrontato un test d’inglese, uno di abilità logico-matematiche e un quiz da 100 domande in 170 minuti su tutto il programma di fisica della triennale. Se superi il test, si passa alla fase successiva, concentrata sulla persona: “A loro interessa poco della tua media voto – spiega –. Giudicano un candidato anche dalle esperienze di ricerca, le pubblicazioni, gli stage all’estero, le summer e winter school internazionali, fino alle attività extracurriculari di volontariato e associativismo”.
“Questo è un ambiente internazionale. In Italia il massimo della diversità la trovi se nel tuo gruppo ci sono un paio di ragazzi del Sud che sono venuti a studiare a Milano”
Non a caso durante l’università Gherardo ha fatto un’esperienza di due mesi a Stanford con un programma dell’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare), ha pubblicato un paper legato alla sua tesi e ha fondato una piccola società di ingegneria con la quale ha lavorato nel settore privato.
Nella sua giornata americana Gherardo segue i corsi di Artificial Intelligence e Machine Learning al dipartimento di Informatica del Mit: “Occupandomi di fisica teorica – spiega – la strumentazione di cui ho bisogno è sostanzialmente un gesso, una lavagna, un foglio di carta, una penna e un pc”. Differenze? Solo per elencarne alcune: il centro studenti è dotato di un ristorante giapponese, cinese, indiano, di una pizzeria e due banche. Ma ancora un ottico, due parrucchieri, una lavanderia e un minimarket aperto 24/24h. Per non parlare delle strutture sportive: 12 campi polifunzionali per calcio, football e baseball, piscina olimpica, tre piste di atletica, campo da hockey sul ghiaccio, pista di pattinaggio e un centro velico. “La cosa divertente è che questa è una delle strutture più limitate rispetto ad altre università americane”, sorride. L’ambiente è decisamente internazionale: “Si fa fatica solo a descrivere il cambio di punto di vista rispetto all’Italia – continua il dottorando – Da noi il massimo della diversità la trovi se nel tuo gruppo ci sono un paio di ragazzi del Sud che sono venuti a studiare a Milano”.
“L’Italia è un paese fuori da tutti i settori del futuro ad alto valore aggiunto, dall’intelligenza artificiale alla robotica”
L’Italia? Gherardo ha un legame molto forte col suo Paese. Anche se preferisce separare l’aspetto emotivo da tutto il resto: “Trovo difficile immaginare il mio futuro lì. Per un neolaureato come me era già complicato trovare un posto di lavoro, uno stage di sei mesi era pagato una miseria e sono diventati oramai la norma. È un Paese fuori da tutti i settori del futuro ad alto valore aggiunto: intelligenza artificiale, biotech, Internet of Things, automazione, robotica, data science. Non ho avuto scelta”, spiega. Negli Stati Uniti è normale che a 18 anni sei fuori di casa e una persona già fatta e finita. “In quest’ottica se un’azienda ti vuole assumere per uno stage sa che ti deve pagare bene”. Lo stipendio medio di un neolaureato in USA è 50mila dollari l’anno. Per un’università come il Mit sale a 80mila. E parliamo solo di laureati triennali.
Per Gherardo quello italiano non è solo un problema di fondi, ma anche di organizzazione. “Da noi l’autonomia dei singoli dipartimenti è abbastanza ridotta. Qui al Mit è normale che un professore spenda molte meno ore di lezione in classe e molte più a fare ricerca”. In Usa, insomma, si punta ad avere meno studenti e più centri d’eccellenza. Ma ancora: “Uber, Google, Tesla, Facebook e tutte le grandi aziende si combattono per assumere gli studenti, i ricercatori e i professori migliori – continua Gherardo – In Italia siamo fermi a discutere su come proteggere i tassisti”. Fare uno stage a 700 euro in azienda per un laureato secondo Gherardo “non è la normalità per un Paese avanzato nel 2017”. Il futuro, per ora, si chiama Stati Uniti. “Per uno come me, senza santi in paradiso – conclude – l’Italia ti lascia solo l’amaro in bocca”.