STORIE DA WORKING POOR ITALIANI
Alice: “Lavoro da trent’anni, sono una dipendente, ma a cinquant’anni vivo ancora a casa dai miei”
Ha cominciato a lavorare a vent’anni e da allora non si è più fermata. Sempre nel settore delle farmacie, come non laureata: un lavoro pesante, si occupa del magazzino, lo sistema, controlla gli ordini, carica la merce. “Ho lavorato sempre a tempo indeterminato per un milione duecentomila lire circa, il minimo sindacale. E l’orario della farmacia era pesante, si finiva alle otto di sera”. Poi Alice rimane incinta di un ragazzo immigrato, che sparisce poco dopo la nascita. Continua a lavorare, ma deve pagare 600 euro di nido (la bimba non viene presa dal pubblico, né al nido né, persino, alla materna), e non riesce più a pagare l’affitto di 350 euro per una casa a un’ora da Roma. “Sono tornata dai miei genitori, ed è stata una fortuna perché a un certo punto sono stata licenziata. Ho ritrovato subito lavoro, sempre in farmacia, ma con la bambina ho dovuto optare per un contratto part time: oggi guadagno ancora la stessa cifra di sei anni fa, 800 euro, più 75 euro di assegno familiare. Le amministrazioni a cui mi sono rivolta mi ripetevano in continuazione: non ci sono soldi. Ma io come faccio a pagare un affitto?”.
Alice chiede ormai da dieci anni con insistenza una casa popolare: ma le regole cambiano in continuazione, e le madri single sono sfavorite (oltre al fatto che il settore è segnato da una grandissima corruzione). Così Alice e sua figlia continuano ancora a vivere a casa dei genitori. Spetta loro una stanza, in cui deve entrarci anche la scrivania della ragazzina, tutti gli abiti, una televisione e un letto. Una situazione pesante, dalla quale Alice non vede via d’uscita: “Ho fatto di tutto, anche le occupazioni. Avere una casa seguendo una via corretta sembra non esistere, non arriva mai. E mia figlia è ormai adolescente, quanto ancora potremo resistere così? Ma d’altronde più che lavorare cosa posso fare? Forse rubare?”.