Il ritorno in chiesa dei cristiani, a una settimana dagli attacchi delle domenica della Palme, avviene in una Cairo blindata da polizia e esercito con lo stato di emergenza che, come deciso dal presidente Sisi, andrà avanti provvisoriamente per tre mesi. “Sono stati annullati tutti i festeggiamenti, ad eccezione della sola celebrazione della Santa Messa di Pasqua”, ha detto la chiesa copta in un comunicato annunciando la volontà di voler dedicare l’intera festività alla memoria e alla preghiera per le vittime.
Nel giorno del venerdì santo, il patriarca della chiesa ortodossa egiziana alla cattedrale cairota di Abbasseya, colpita a sua volta da una bomba lo scorso dicembre, ha tenuto una cerimonia sobria in linea con il cordoglio della strage di domenica scorsa che ha provocato 48 morti. Tra i fedeli copti, che costituiscono circa il 15% delle popolazione egiziana, c’è poca voglia di parlare di fronte a una situazione divenuta incontrollabile anche alla luce di nuovi incidenti tra cittadini musulmani e cristiani che negli ultimi giorni si sono consumati nel governatorato di Minya.
“La comunità copta pensa che pregare sia diventato qualcosa di pericoloso, siamo chiaramente diventati un target per i terroristi“, scrivono alcuni attivisti cristiani sui social. “La scelta del patriarca di annullare il ricevimento delle figure istituzionali è guidata dall’intenzione di tenere alta l’attenzione sulle vittime della nostra comunità, non solo quelle di Tanta e Alessandria, ma anche quelle degli abitanti del Sinai”.
Proprio dalla penisola al confine con Israele era partita alcuni mesi fa l’offensiva contro i cristiani. Wilayat Sinai (gruppo affiliato allo Stato Islamico), da dicembre ha portato avanti una vera e propria campagna del terrore che, secondo quanto riportato dal giornale egiziano Al Masry al Youm, ha spinto circa il 90% dei cristiani residenti a lasciare il Sinai.
Inoltre, la forte espansione del gruppo, che sino al 2014 era affiliato ad Al Qaeda e si faceva chiamare Ansar Bayt Al-Maqdis, ha coinciso con gli attacchi ai cristiani non più solo nella penisola, ma nelle città più importanti dell’Egitto. “Possiamo considerare l’attacco alla chiesa cairota di Abbasseya dello scorso dicembre come il momento in cui lo Stato Islamico ha avuto un rinnovo della sua strategia e ha iniziato a colpire i cristiani in maniera sistematica”, spiega Jantzen Garnett, analista del think-tank Navanti Group.
Dal colpo di stato del 2013, quando il gruppo era ancora affiliato ad Al Qaeda, gli obiettivi degli attacchi erano costituiti prevalentemente da militari e forze dell’ordine. Come ha spiegato Mokhtar Awad, ricercatore della George Washington University, sul New York Times l’attacco ai cristiani egiziani va oltre la situazione interna del Paese – che non aveva comunque mai visto attentati contro i cristiani di questa portata e così frequenti. Le ultime bombe contro le chiese si inscrivono infatti nella strategia complessiva dello Stato Islamico che, mentre perde terreno negli altri Paesi mediorientali (come Libia, Siria e Iraq), tenta di espandersi in Egitto dividendo in maniera settaria il Paese con una strategia simile adottata per alimentare le divisione tra sciiti e sunniti in Iraq e Siria.
“I rapporti tra i vertici dell’IS e il gruppo in Sinai restano oscuri ma è evidente che sono iniziati prima ancora della proclamazione del califfato nel 2014 e sono diventati sempre più intensi”, continua Garnett. “Gli attacchi delle chiese di domenica ci dicono che l’IS ha una sua cellula nel Delta del Nilo in grado di compiere degli attentati sofisticati. Alcune cellule nell’entroterra egiziano erano già emerse negli ultimi tre anni ed erano state smantellate, ma ora possiamo affermare che l’IS è sempre più vicino alle città egiziane con una struttura solida e operativa.”
Sull’organizzazione di Wilayat Sinai e delle cellule Isis si sa poco; l’esercito egiziano lo scorso agosto aveva annunciato l’uccisione del leader di WS Abu Duaa Al-Ansari, sostituito poi da un nuovo wali, lo sheick Abu Hajir al-Hasmi. Ma se ricostruire la struttura dell’IS in Egitto resta materia complicata ciò che è certo è la crisi della dittatura di Abdel Fattah El-Sisi che sulla retorica della stabilità ha lanciato diverse operazioni anti-terroristiche che al momento non si sono rivelate in grado di fermare l’espansione dei gruppi jihadisti nel paese.