Cinema

‘L’altro volto della speranza’, l’antiretorica nelle storie di Kaurismaki

“Io gioco. O muoio. Non gioca mai chi ha paura”. Il senso de L’altro volto della speranza sembra racchiuso in questo verso di una delle canzoni dell’ultimo film di Aki Kaurismaki (premiato per la miglior regia al Festival di Berlino). Il regista finlandese ripropone il tema dell’immigrazione, già affrontato nel precedente Miracolo a Le Havre.

I protagonisti del suo film, Khaled e Wikstrom, condividono un destino di fuga, sia pur con motivazioni diverse, che li porterà a precorrere strade comuni in cerca di un riscatto. Il motore di tutto è la ricerca di un cambiamento, ma ci si arriva con una corsa a ostacoli, in un alternarsi di scene dolorose e quadri grotteschi. Sarà un ristorante, dai connotati decadenti e bizzarri, il punto di incontro dei personaggi, tra improbabili menù e bevute ad alto tasso alcolico. Perché “le persone bevono quando le cose vanno male, e bevono ancora di più quando vanno bene”.

Come spesso accade, Kaurismaki delinea storie di loser, apparentemente disperati, intrappolati nella condizione di emarginati. I personaggi tuttavia sono capaci di affrontare le loro vicissitudini con stoicismo ai limiti dell’impassibilità, animati da una sorta di resilienza, rifiutando ostinatamente lo sconforto e la malinconia. Sono infatti coscienti che “i malinconici vengono respinti. Sono i primi che si mandano via”.

Raccontate così, avrebbero tutte le carte in regola per essere storie dolorose, di quelle che ti fanno uscire dalla sale del cinema con un velo di tristezza negli occhi. Ma so che non troverò questo nelle opere di Kaurismaki. Amo il sapore amaro e malinconico del blues, animato dal ritmo leggiadro del rock. E le musiche, accuratamente scelte dal regista, sembrano nate per scandire le vicende dei personaggi: quei cantanti solitari e quei gruppi country che compaiono in pub o lungo i marciapiedi, come discreti sostenitori dei protagonisti, pronti a incoraggiarli.

Non mi piace il cinema consolatorio e retorico, prediligo storie reali narrate senza troppi fronzoli nella loro drammaticità, sapientemente mescolate ad elementi divertenti, con guizzi di ironia. E’ ed quello che ritrovo ne L’altro volto della speranza descritto da Kaurismaki, quello più leggero e paradossalmente piacevole, capace di strapparti un inaspettato sorriso.