La lira turca si è rivalutata del 2,5% rispetto al dollaro dopo la contestata vittoria del Sì al referendum sulla riforma costituzionale in senso iper presidenziale, fortemente voluta da Recep Tayyip Erdogan. La moneta locale è in caduta libera da anni, tanto che a fine 2016, cinque mesi dopo il fallito golpe del 15 luglio, il “Sultano” aveva fatto appello alla popolazione perché ne sostenesse il corso vendendo la valuta straniera per comprare lire. Il fatto che Erdogan si sia assicurato la possibilità di restare in sella fino al 2024, contestazioni Osce permettendo, rassicura i mercati perché almeno nel breve periodo garantisce ovviamente stabilità politica.
Ma gli elementi di debolezza dell’economia turca, in frenata complice il calo degli investimenti esteri dopo il tentato colpo di Stato militare, restano immutati. E l’ampliamento dei poteri di Erdogan, che avrà ancora più influenza sulle decisioni della banca centrale, non promette nulla di buono. Non a caso le tre principali agenzie di rating hanno declassato i titoli di Stato di Ankara a livello ‘spazzatura‘. Così, secondo gli analisti, il rally della valuta durerà poco: “Ci aspettiamo un breve rally degli asset turchi perché si è evitata la grande incertezza che sarebbe stata associata a una vittoria del No”, scrive l’economista di Commerzbank Tatha Ghose citata da Bloomberg. Ma “questi movimenti è improbabile che durino a lungo. I mercati probabilmente torneranno a focalizzarsi sulle grandi sfide politiche del Paese: i suoi rapporti con Usa e Russia, i problemi alla frontiera curda e le sue relazioni con la Ue“.
Inoltre il turismo, settore strategico per l’economia del Paese, è in forte crisi. Nel 2016 si è registrato un crollo del 29,7% rispetto al 2015, con le entrate che si sono fermate a 22,1 miliardi di dollari a causa dei continui attacchi terroristici. La crisi, cui si somma il calo dell’export e dei consumi interni, ha avuto pesanti effetti sui livelli di occupazione: il mese scorso il tasso dei senza lavoro ha raggiunto il 12,7% e un giovane su quattro tra i 15 e i 24 anni è disoccupato.
A peggiorare il quadro, l’ultimo dato sulla produzione industriale di febbraio ha indicato un rallentamento, mentre l’inflazione a marzo è salita oltre l’11%, ai massimi dal 2008. Gli effetti cominciano ad avvertirsi chiaramente sulla crescita. Sebbene il pil nel 2016 sia avanzato del 2,9%, gli esperti stimano che sia necessaria una crescita di circa il 5% su base annua per creare un numero di posti di lavoro in grado di rispondere alla domanda. Nel 2006, in pieno boom, il pil era salito del 6,9%. E proprio la forte crescita è stata un carburante formidabile per la popolarità di Erdogan, che nel 2014 è diventato presidente dopo 11 anni alla guida del governo.