L’accordo raggiunto nella trattativa tra Berlusconi e il gruppo cinese per la cessione del Milan (lascio ad altri il termine “closing”), arrivato dopo un lunghissimo tira e molla proprio alla vigilia di un derby, ha dato la stura, sui giornali e nelle tv, a un’inesauribile serie di commenti e di celebrazioni dell’epoca berlusconiana giunta alla fine.
A parte la solita perfetta, geniale ricostruzione di Michele Serra su La Repubblica, tutto il resto non ha brillato né per originalità né per capacità di esprimere la complessità, la stratificazione di una vicenda. Molti pezzi e servizi encomiastici sul ruolo innovativo di Berlusconi nella storia del calcio italiano, un dato storicamente innegabile, ma che forse potrebbe essere osservato in maniera meno acritica; molte perplessità e parecchie ironie sui nuovi arrivati.
Ora mettetevi nei panni di chi come me rappresenta una categoria piuttosto folta, quella dei milanisti di sinistra, milanisti da una vita che hanno visto gli scudetti e le coppe di Rivera e Maldini padre, la beffa di Verona e la serie B, che hanno continuato, negli ultimi trent’anni, a tifare Milan con orgoglio, passione, entusiasmo, gioie enormi ma anche con un po’ di imbarazzo per la presenza tutt’altro che discreta di un presidente come Berlusconi. Una volta una tifosa eccellente e intelligente come Lella Costa rivelò che non poteva più tifare Milan e giustificò la sua scelta con un celebre calembour. Il cuore – disse – ha delle ragioni che la ragione non può comprendere. E’ vero, ma al contrario: ci sono ragioni di cuore come il tifo, scelte infantili, irrazionali che la razionalità politica non può comprendere, né approvare, ma neppure eliminare. E così siamo rimasti milanisti nonostante…
Ora che questa storia è finita, ora che non avremo più imbarazzi, che non dovremo più subire le ironie degli amici tifosi di squadre con proprietà meno inquietanti, ora che potremo esultare senza vedere la nostra esultanza riflessa in quella di Berlusconi, che non dovremo più sorbirci i suoi insopportabili pipponi sui valori, sui destini gloriosi, ora però un po’ di preoccupazione c’è.
Chi saranno questi nuovi proprietari, avranno davvero tanti soldi e saranno capaci di investirli bene? E perché non si trova una figura, un uomo-Milan disposto a diventare il simbolo di questa nuova avventura, un Maldini, un Ambrosini, così bravo quando commenta su Sky o – perché no? – un Rivera?
Per fortuna, se non a fugare del tutto, ad arginare tutte queste preoccupazioni, sono intervenute due cose. La prima, di tipo scaramantico, è il derby riacciuffato al 97’, dopo che il telecronista ci aveva già minacciato da un minuto che l’arbitro aveva il fischietto in bocca pronto a segnalare la fine. Insomma, a giudicare dalla loro prima uscita,’sti cinesi sembra che portino bene.
La seconda, più seria, è un’intervista rilasciata per Il Fatto Quotidiano di Pasqua da Matteo Salvini ad Antonello Caporale in cui, con la consueta finezza, annuncia che con l’avvento di “Hong Kong o King Kong” non lo vedremo più allo stadio. Ecco questa è una notizia davvero importante per noi milanisti veri, autentici, per quelli delle ragioni del cuore.
In tutti questi anni, infatti, insieme alla presenza di Berlusconi, che aveva un suo ovvio motivo, ne abbiamo dovuto sopportare un’altra ancor più fastidiosa, quella dei milanisti che più che essere tali ci tenevano molto ad apparire, a farsi vedere, a farci sapere che tifavano, che parlavano della squadra con il presidente. I personaggi come Fede, per un certo periodo, poi appunto come Salvini, milanisti da tribuna d’onore, per cui il Milan è uno status-symbol, un mezzo per esibire la loro vicinanza, la loro familiarità con il capo. Ecco, se l’arrivo dei cinesi riesce a far piazza pulita di questi personaggi, a restituire il Milan ai milanisti veri, senza secondi fini, allora un risultato lo abbiamo già portato a casa.