Da settembre la scuola italiana dovrà fare i conti con il nuovo sistema per l'inclusione scolastica dei disabili. I dubbi di sindacati e associazioni sulla reale continuità didattica garantita. D'ora in poi le commissioni valuteranno il "profilo di funzionamento", in cui la disabilità in senso stretto viene abbinata al contesto scolastico di inserimento. Cambierà anche il percorso di formazione dei docenti
Nuove certificazioni, più continuità didattica per i precari. E (per fortuna delle famiglie) ancora ricorsi, che sembra un controsenso ma spesso per gli studenti disabili è l’unico modo per ottenere il diritto all’assistenza negato. Dal prossimo settembre la scuola italiana dovrà fare i conti con il nuovo sistema per l’insegnamento di sostegno, varato con l’approvazione dell’ultima parte della riforma. Le incognite sono dietro l’angolo: un iter burocratico diverso, dove non saranno più le scuole ad avere l’ultima parola; il mancato automatismo fra disabilità grave e massimo di ore di sostegno, che secondo i sindacati rischia di portare a un taglio dell’assistenza. Ma alla fine il Ministero ha deciso di rinunciare ai propositi più radicali. Le famiglie avranno ancora a disposizione l’arma dei ricorsi in tribunale, visto che l’assegnazione delle risorse avverrà sulla base di documenti oggettivi. E gli insegnanti continueranno ad essere vincolati sul posto di sostegno per soli 5 anni, dopo cui potranno chiedere il trasferimento sulla cattedra comune, e non 10 anni come invece voleva il Miur. “Abbiamo capito che non è questo che conta per la continuità didattica”, fanno sapere da viale Trastevere. Per ottenerla, infatti, si punterà sulla possibilità di proroga dei supplenti fino ad un massimo di tre anni nella stessa scuola.
MARCIA INDIETRO DEL MIUR – Genitori e insegnanti, dunque, possono tirare un sospiro di sollievo: nel decreto sull’inclusione scolastica approvato il 7 aprile dal Consiglio dei ministri e che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare, sono rientrate alcune delle novità che più avevano fatto discutere della riforma di sostegno, di cui si parla da oltre due anni e che ora vedrà finalmente la luce. Cambia l’iter di certificazione e assegnazione delle ore di sostegno: d’ora in poi le commissioni valuteranno il “profilo di funzionamento“, in cui la disabilità in senso stretto viene abbinata al contesto scolastico di inserimento. Un concetto più complesso e moderno, in cui le condizioni favorevoli o sfavorevoli che i ragazzi trovano negli istituti sono determinanti per la quantificazione del bisogno di assistenza. Un disabile grave, insomma, se trova un ambiente ideale potrebbe anche non avere diritto alla cattedra completa; e viceversa un alunno con un deficit lieve, il cui inserimento però è problematico, ricevere assistenza piena. Sulla questione le opinioni sono divise, fra chi teme sia un “trucco” del governo per risparmiare e chi è più ottimista. “Bisognerà vigilare sulla corretta applicazione da parte dell’amministrazione, ma il principio a livello teorico è giusto”, spiega Salvatore Nocera della Fish, una delle maggiori associazioni di settore. Anche perché nel testo finale sono state inserite alcune garanzia a tutela dei diritti delle famiglie.
IL NUOVO ITER DI CERTIFICAZIONE – Nel nuovo iter giocherà un ruolo decisivo il discusso “Gruppo per l’inclusione territoriale” (Git): una commissione esterna alle scuole, composta da un tecnico presidente, tre presidi e due docenti (nominati dall’Ufficio scolastico territoriale), che risponderà direttamente all’amministrazione e avrà il compito di elaborare la proposta di assistenza su cui deciderà l’Usr. Il timore di sindacati e associazioni era che con questa mossa il Ministero puntasse a tagliare i posti di sostegno e ridurre i ricorsi, visto che le scuole sarebbero state marginalizzate nel processo decisionale. Il rischio adesso sembra ridimensionato: con la versione finale della riforma, la proposta di assistenza verrà sempre stilata dal Git, ma nella pratica entreranno una serie di documenti preparati dai docenti e dalla scuola di riferimento (tra cui il famoso Pei, Piano educativo individualizzato). “Questo significa che se ci sarà una discrepanza tra le carte e le ore assegnate dall’amministrazione, le famiglie avranno degli elementi oggettivi a cui appigliarsi dal punto di vista legale”, spiega la Fish.
RESTANO I RICORSI – Tutto o quasi ruota intorno ai ricorsi: spesso un’arma fondamentale a disposizione delle famiglie, per vedersi riconosciuti i diritti negati. Basti pensare che anche quest’anno sono stati assegnati circa 30mila posti in deroga, il 22,5% del totale che ammonta ormai a quasi 125mila insegnanti di sostegno per 225mila studenti con handicap. Infatti con la riforma il governo puntava essenzialmente a snellire l’iter burocratico e ridurre il contenzioso. Entrambi i traguardi, probabilmente, non saranno raggiunti. “La certificazione non sarà molto più rapida: prima c’era una commissione provinciale a fare da filtro, ora i nuovi Git, non mi pare una grande differenza”, commenta Nocera della Fish. Discorso simile per i ricorsi: “Possono scrivere quanto vogliono che la riforma è ‘senza oneri aggiuntivi’ o ‘a costo zero’: le sentenze stabiliscono che è il bilancio ad adeguarsi al diritto allo studio, e nel decreto sono state inserite delle garanzie in questo senso. I ricorsi inevitabilmente continueranno ad esserci”, conclude. Così a cambiare davvero sarà il percorso di formazione dei docenti (con più esami all’università sulla pedagogia speciale). E la possibilità per i supplenti di essere confermati fino a tre anni nella stessa scuola, per seguire il percorso di formazione dello studente disabile. Una grande novità, di cui studenti e insegnanti precari beneficeranno insieme. Anche se forse non era questo il vero obiettivo della riforma.