Sono 7 milioni e 209mila le persone che in Italia vivono in grave deprivazione materiale. Lo ricorda l'Istituto di statistica nell'audizione sul Def. "La quota di persone in famiglie che sperimentano sintomi di disagio" è stabile rispetto al 2015. E per gli under 35 è sempre più difficile trovare lavoro. Critiche sul maxi ammortamento introdotto dall'ultima legge di Bilancio: "Il beneficio non privilegia le imprese solide, anzi"
L’11,9 per cento delle famiglie italiane, ovvero 7 milioni e 209mila persone, nel 2016 si è trovata nelle condizioni di “grave deprivazione materiale”. Lo rileva l’Istat nel dossier sul Documento di economia e finanza, nel corso dell’audizione nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato. I minori che nel 2016 risultano in condizioni di “grave deprivazione” sono 1.250.000, pari al 12,3% della popolazione con meno di 18 anni. “Tale quota risulta in lieve diminuzione rispetto agli anni precedenti”. “Nonostante il miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie – ha spiegato Roberto Monducci, dirigente dell’Istituto di statistica – nel 2016 non si è osservata una riduzione dell’indicatore di grave deprivazione materiale, corrispondente alla quota di persone in famiglie che sperimentano sintomi di disagio. Secondo i dati provvisori del 2016, tale quota si attesta all’11,9%, sostanzialmente stabile rispetto al 2015″. Tra gli altri dati Monducci spiega che “tra il 2015 e il 2016 l’indice peggiora per le persone anziane (65 anni e più) da 8,4% a 11% e per chi vive in famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (da 32,1% a 35,8%)”.
Monducci ha ricordato che “il governo ha messo in campo una serie di provvedimenti importantissimi per quanto riguarda la lotta alla povertà”. Ma il nuovo Reddito di inclusione (Rei) deve ancora partire e fino a oggi “non si è osservata una riduzione dell’indicatore di grave deprivazione materiale. Si tratta della quota di persone che sperimentano sintomi di disagio di vario tipo” che, secondo i dati provvisori del 2016 “è stabile” rispetto all’anno precedente. Nonostante “migliori il mercato del lavoro, crescita economica e la disuguaglianza – osserva il direttore – rimane stabile questa quota che percepisce gravi difficoltà”.
Il miglioramento del mercato del lavoro del resto non riguarda i giovani tra i 25 e i 34 anni, per i quali “la situazione” è “ancora sfavorevole“, sottolinea Monducci. Secondo il dossier del Def, infatti, per gli under 35 senza lavoro trovare un posto risulta sempre più difficile. “I dati longitudinali della Rilevazione sulle forze di lavoro consentono di effettuare un’analisi delle transizioni verso l’occupazione degli individui disoccupati a un anno di distanza”, spiega. “Il 21,2% dei 25-34enni disoccupati nel quarto trimestre del 2015 è occupato un anno dopo, il 43,8% risulta ancora disoccupato e il 35% inattivo”. Il canale che più frequentemente ha portato a un esito positivo nel trovare lavoro è il ricorso alla rete di parenti e amici. E i dati evidenziano un peggioramento, perché “la quota di giovani che ha trovato lavoro nel periodo è più bassa sia rispetto a quella registrata nello stesso periodo dell’anno precedente (27,9%) sia di due anni prima (24,4%)”.
Sempre commentando i contenuti del Def, l’Istat fa notare che “le prime analisi condotte sulle imprese beneficiarie del maxi-ammortamento” introdotto dalla scorsa legge di Bilancio “non sembrano identificare un target preciso rispetto alla redditività e solidità finanziaria delle imprese”. Nel dossier che accompagna l’audizione, l’istituto evidenzia infatti che, sulla base di un campione di società di capitali, “la proroga al 2017 dell’agevolazione sui nuovi investimenti determina un beneficio fiscale di poco più di 200 milioni di euro” e, “tra le imprese redditive il beneficio non privilegia le imprese solide; anzi, considerando il più ridotto apporto al gettito Ires delle imprese con solidità non adeguata, la proroga del maxi-ammortamento determina una redistribuzione del carico fiscale a vantaggio delle imprese meno solide“. L’Istat stima anche “l’impatto del depotenziamento dell’Ace, che “è quantificabile in quasi 500 milioni di euro. Un minore vantaggio fiscale che, viene sottolineato, “si concentra sulle imprese redditive e solide”. .