Il 12 maggio la sentenza del processo all'ex comandante della Costa Concordia per il naufragio del 2012 all'isola del Giglio. Per il procuratore generale bisogna rivalutare solo l'aggravante della colpa cosciente, cioè la consapevolezza del capitano che con il suo comportamento avrebbe provocato vittime. L'avvocato: "Per lui deciso a tavolino ruolo del colpevole ideale"
I 16 anni di carcere vanno confermati. Se la pena per Francesco Schettino deve essere modificata, dovrà essere per aumentarla con un nuovo processo in Corte d’Appello solo per una nuova pronuncia sull’aggravante della colpa cosciente, cioè la consapevolezza del comandante della Costa Concordia che con il suo comportamento che causò il naufragio della nave da crociera all’isola del Giglio avrebbe provocato vittime (com’è poi è successo, i morti furono 32). E’ la tesi sostenuta davanti alla Corte di Cassazione dal procuratore generale Francesco Salzano che ha avanzato di nuovo la richiesta già sostenuta dall’accusa sia dalla Procura di Grosseto in primo grado che dalla Procura generale di Firenze in appello, ma fin qui sempre respinta dai tribunali toscani. La sentenza (forse) definitiva della Suprema Corte dovrebbe essere pronunciata il 12 maggio, dopo le repliche delle parti civili e soprattutto degli avvocati difensori dell’ex
Il punto di partenza del processo in Cassazione è dunque la richiesta del pg Salzano che propone ai giudici di “congelare” la pena decisa per Schettino – cioè 16 anni di reclusione e un mese di arresto – e rivalutare solo l’aggravante della colpa cosciente, che potrebbe aggravare quei sedici anni. Nella sua relazione il procuratore generale ha messo in fila – una volta di più – tutti i comportamenti accusati a Schettino che corrispondono a diversi reati: risponde dell’omicidio colposo di 32 persone, per le lesioni fisiche e psicologiche di molti passeggeri, per l’abbandono della nave mentre c’erano ancora persone incapaci a bordo, per naufragio colposo e per le false comunicazioni date alle capitanerie. “Schettino – ha detto Salzano durante l’udienza – era consapevole che sul lato sinistro della nave si trovavano ancora 2mila persone e che solo 1500 passeggeri erano scesi con le scialuppe di dritta perché glielo aveva detto il personale di bordo: in quanto comandante, con posizione di garanzia, aveva l’obbligo di restare sulla nave fino all’ultimo, invece quando si calò sulla scialuppa sapeva che dietro di lui c’erano altri ufficiali rimasti sulla Concordia”.
Secondo il pg, da parte di Schettino c’è stata anche una “latitanza gestionale“, dopo aver causato un naufragio con morti e feriti, che ha fatto sì che l’emergenza “non è stata da lui organizzata e controllata”. Non solo scese dalla nave, ha detto Salzano, ma Schettino non si tenne nemmeno in contatto con i suoi ufficiali: accettò, insomma, “di rimanere all’oscuro sul destino di circa 2mila persone”. Tutti si ricordano, d’altra parte, il momento in cui Schettino – già all’asciutto nel porto del Giglio – chiese all’ufficiale della Capitaneria di Livorno Gregorio De Falco quanti morti ci fossero, ottenendo una risposta ancora più irritata: “Deve dirmelo lei!”. Più modestamente il pg ha ricordato in aula che quella notte solo i vigili del fuoco salvarono 700 persone salendo a bordo della nave da crociera dalla quale il comandante era già sceso.
Per tutti questi motivi Schettino non merita nessuna attenuante: “E’ stato un naufragio di tali immani proporzioni e connotato da gravissime negligenze e macroscopiche infrazioni delle procedure”, dice il pg Salzano. Schettino, aggiunge, “non inviò il segnale di falla all’equipaggio per far scattare l’ammaina scialuppa e mettere subito in salvo i passeggeri”. E diverse scialuppe furono inutilizzabili proprio per quel ritardo perché la nave era troppo inclinata. Fin qui il “dopo”. Poi c’è il “prima”, cioè la responsabilità dello stesso naufragio: il magistrato ha ricordato come Schettino incurante di tutte le regole di navigazione abbia comandato “una rotta improvvisata senza conoscere i fondali” per poi mettere in atto una “manovra disperata con ordini impartiti così velocemente al timoniere Bin che nemmeno lui capiva”. I motivi dell’avvicinamento al Giglio erano “futili, per ‘intrattenere’ gli ospiti non autorizzati in plancia con una navigazione turistica sotto costa o per una promessa al maître Antonello Tievoli o al comandante Mario Palombo.
Contro la sentenza di condanna a 16 anni hanno fatto ricorso, come detto, gli avvocati di Schettino, Donato Laino e Saverio Senese. A sorpresa i due legali hanno chiesto ai giudici della Cassazione di poter vedere in aula un video che sarebbe stato girato dallo stesso Schettino o che comunque è in suo possesso che – secondo gli avvocati – dimostra che da parte dell’ex comandante non c’è stato abbandono della nave. Il pg Salzano si è opposto alla richiesta perché presentata fuori termine (“Doveva essere presentata nei giorni scorsi in cancelleria”), mentre la corte si è riservata di decidere alla prossima udienza, il 12 maggio, quando verrà pronunciato il verdetto. Laino nella sua arringa ha spiegato che nella sentenza di condanna c’è stata “una assoluta mancanza di puntuale verifica di ogni singola evenienza, una totale mancanza di approfondimento tecnico. Tutta la vicenda giudiziaria si è incentrata su Schettino definito ‘criminale’ quando invece si è trattato di un incidente. Tutto è ruotato e ruota attorno a Schettino dipinto come uno ‘sborone’ e sempre inseguito dalle telecamere tanto che anche io avevo difficoltà ad entrare in aula. Il suo ruolo è stato deciso a tavolino. Lo si accusa anche di essersi messo in salvo: mentre la nave stava cadendo si pretendeva che lui facesse la cariatide e la tenesse su! Schettino è il colpevole ‘ideale’“.