Un ingegnere spagnolo ha inventato una bambola di silicone (il nome è Silicon Samantha, la foto in evidenza è tratta da Ruptly tv), un robot del sesso con il punto G (G-spot), così chi la compra potrà avere l’illusione di essere capace di farle provare (il robot parla) un orgasmo (finto) del punto G. Chiaramente è solo un business (costa migliaia di euro) perché nella realtà il punto G non esiste: utilizzano questo termine per farsi pubblicità e per suscitare curiosità. Qualcuno la comprerà? Spero di no.

Io mi chiedo: perché il termine “punto G” è ancora usato nei mass-media, da molti sessuologi e da ingegneri di sex robot? Da molti anni è stato dimostrato che il punto G non esiste: io, per esempio, lo denuncio da più di 10 anni, non solo nei congressi di sessuologia mondiali, europei e italiani, ma anche nei miei articoli e libri, vedi, ad esempio, nella rivista International Urogynecology Journal del 2012 e nell’ebook del 2014 titolato, per l’appunto, Il punto G non esiste.

Tutti i sessuologi sanno che il punto G non esiste, ma parlarne fa ancora notizia, vedi ad esempio il recente articolo del prof. James Pfaus, et al., nella rivista Socioaffective Neuroscience & Psychology dell’ottobre 2016 dove gli autori scrivono: “Internal region around the G-spot that corresponds to the internal clitoral bulbs”, cioè utilizzano il termine “punto G” per altre strutture anatomiche senza accorgersi anche di altri errori scientifici. Infatti non esiste una clitoride interna e il termine corretto è “bulbi del vestibolo” non punto G o bulbi del clitoride.

Grafenberg nel 1950 non ha descritto un punto vaginale sensibile: il suo articolo non parla di un orgasmo delle ghiandole uretrali (o prostata femminile). Chi ha inventato il punto G nel 1981 (una infermiera e due psicologi) ha utilizzato impropriamente il nome di Grafenberg per dare l’impressione che i loro studi avessero una base scientifica, ma in nessun libro specialistico di anatomia umana è descritto. Non solo, non esistono nemmeno figure anatomiche o ecografiche del punto G e le ghiandole dell’uretra non possono scatenare un orgasmo. I mass media hanno sempre divulgato le interviste di questi “ricercatori”, ma nessuno ha mai controllato i loro articoli. Poi si sono aggiunti anche sessuologi italiani, ad esempio il prof. Emmanuele Jannini, un andrologo che è diventato famoso in tutto il mondo dopo aver dichiarato di aver fotografato il punto G. Tuttavia, nell’articolo pubblicato dal Journal of Sexual Medicine nel 2008, non c’è alcuna foto del punto G.

Le affermazioni sul punto G di Beverly Whipple, Emmanuele Jannini, Odile Buisson, Helen O’Connell, Barry Komisaruk, Adam Ostrzenski, Irwin Goldstein, Chiara Simonelli, Alessandra Graziottin, Fabrizio Quattrini e altri, non hanno basi scientifiche. Il punto G è diventato il centro di un business multimilionario: tutte le donne devono sapere che il suo ampliamento chirurgico proposto da alcuni ginecologi è un intervento inutile e inefficace. La chirurgia estetica sui genitali femminili potrebbe essere definita anche come una mutilazione genitale, vedi nella rivista Gynecologic and Obstetric Investigation del 2013.

Dopo le mie denunce e articoli, chi ha inventato e continua a divulgare il punto G, per salvarsi la reputazione, ora afferma, dopo 35 anni, che il punto G non è la prostata femminile, ma il complesso clitoride-uretra-vagina (Cuv), ma anche questo non ha basi scientifiche, perché la clitoride interna non esiste e la vagina non ha rapporti anatomici con la clitoride.

Il nome di Grafenberg e punto G non devono più essere usati dai sessuologi, mass-media e dalle donne di tutto il mondo che, finalmente, potranno sentirsi libere perché non dovranno più “cercarlo” e non più anormali, inferiori o patologiche perché non hanno (l’inesistente) punto G.

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