Ancora Parigi, proprio sugli Champs-Élysées, ancora la rivendicazione dello Stato Islamico. Con un attentatore e un poliziotto deceduti e due agenti e un turista feriti, gli investigatori stanno ancora cercando di mettere insieme i particolari dell’ultimo attentato jihadista nella capitale francese. Ma già dai primi momenti emerge una novità rispetto agli ultimi attentati che hanno colpito l’Europa: l’arma, un fucile automatico, probabilmente un Kalashnikov. Strumento difficile da reperire, se non sul mercato nero, e che espone il terrorista al rischio di essere rintracciato dalle forze di sicurezza. È proprio l’arma, insieme alla velocissima rivendicazione di Isis, con tanto di nome di uno dei terroristi, che fa pensare a un attentato organizzato, in controtendenza rispetto agli ultimi attacchi compiuti da lupi solitari. Dal gennaio 2015, solo in tre occasioni un commando jihadista è riuscito a compiere attacchi pianificati: quello alla sede di Charlie Hebdo, per mano di al-Qaeda, e quelli al Bataclan e all’aeroporto di Bruxelles, che portano la firma del Califfato. Sempre sull’asse Parigi-Belgio.
Il Kalashnikov: fucile d’assalto disponibile solo sul mercato nero
L’arma utilizzata interrompe la scia di attentati “fai da te” che hanno insanguinato l’Europa negli ultimi mesi, soprattutto con l’utilizzo di mezzi lanciati contro la folla e armi da taglio facili da reperire. Sugli Champs-Élysées ha colpito una piccola squadra, con tutta probabilità composta da solo due uomini (ma sul numero non c’è ancora nessuna conferma) armati di fucili automatici. Armi che, però, sono difficili da reperire e che espongono l’acquirente al rischio di essere intercettato dalle forze di sicurezza, soprattutto in un periodo storico di allerta terrorismo. Mitragliatori che, però, sono necessari se si vuole compiere un attentato che provochi molte vittime e mostri tutta la potenza organizzativa di un movimento terroristico. Non a caso sono stati usati sia durante l’attacco alla sede di Charlie Hebdo che nella notte del 13 novembre 2015, mentre a Bruxelles è stato usato dell’esplosivo. Il fatto che in questo ultimo attentato nella capitale francese siano nuovamente comparsi dei fucili d’assalto fa pensare, quindi, che l’attacco sia stato programmato per tempo, almeno per quanto riguarda l’acquisto delle armi. Fucili che, nella maggior parte dei casi, sono residuati dei conflitti dei Balcani o parte di arsenali smantellati nei Paesi dell’Est Europa o del Nord Africa.
Poliziotti come obiettivo e rivendicazione immediata
Lo Stato Islamico sembra proprio considerare l’operazione un successo. Non a caso ha diffuso una delle rivendicazioni più rapide della sua storia, poco più di due ore dopo l’attacco, con tanto di nome di battaglia del “Soldato del Califfato”: Abu Yusuf al-Beljiki, il belga. Questa rivelazione rappresenta un’anomalia rispetto ai passati comunicati di Amaq, l’agenzia legata al Califfato, dove raramente si è fatto riferimento al nome degli attentatori. La dinamica dell’attentato, che scarterebbe l’ipotesi di un’improvvisazione, e l’immediata risposta offerta dagli uomini del Califfato aumentano così le possibilità di una piano studiato. E suonano come una risposta propagandistica a chi negli ultimi mesi ha dichiarato che lo Stato Islamico era più debole anche in Europa, incapace di sferrare colpi organizzati a tavolino come quelli del Bataclan e destinato, ormai, ad affidarsi solo alle iniziative di lupi solitari. Anche l’obiettivo degli attentatori suggerisce la volontà di lanciare un messaggio. I terroristi non hanno seguito l’ormai famoso messaggio del defunto portavoce di Isis, Abu Muhammad al-Adnani: “Colpiteli con ogni mezzo, con i coltelli, con le pietre, con le vostre auto”. No, questa volta si è voluto mostrare di poter colpire anche utilizzando armi più avanzate e obiettivi simbolici come gli agenti di polizia, simbolo dell’autorità che garantisce la sicurezza nel Paese.
Ancora l’asse Parigi-Belgio
Come l’utilizzo di fucili d’assalto e la ricerca di obiettivi mirati, un altro elemento che rappresenta una costante degli attentati pianificati dai gruppi jihadisti in Europa sono i luoghi. Più precisamente l’asse Parigi-Belgio. È da Bruxelles che sono passate le armi finite in mano ai fratelli Kouachi e che hanno ucciso i vignettisti di Charlie Hebdo e un poliziotto che si trovava fuori dalla redazione. Dalla capitale belga veniva anche il fucile d’assalto che ha armato la mano di Amedy Coulibaly, il killer del supermercato kosher. L’intreccio Parigi-Bruxelles diventa ancora più evidente dopo l’attentato al Bataclan, con menti ed esecutori che, in gran parte, provenivano dal problematico quartiere belga di Molenbeek e facevano la spola tra Belgio e Francia, come Salah Abdeslam o Abdelhamid Abaaoud.
Se tutto fosse confermato, anche in quest’ultimo attentato il terrorista identificato sarebbe un cittadino belga, Youssouf el Osri. Ciò che più preoccupa, dopo la diffusione di un documento riservato inviato dai servizi di sicurezza belgi a quelli francesi (anche in questo caso nessuna conferma), è che il soggetto fosse già attenzionato. L’intelligence belga avrebbe segnalato ai colleghi, come si legge nel documento diffuso dal giornalista di Canal Plus, Jean-Louis Ney, e datato 20 aprile, che un “soggetto pericoloso” stava arrivando in Francia. Si trattava di Youssouf el Osri. Ancora un attentato dello Stato Islamico, quindi, con una metodologia che riporta ai primi attacchi organizzati del movimento terroristico che, anche in questo caso, si è servito di quello che sembra sempre più essere il fianco debole dell’antiterrorismo europeo: l’asse Parigi-Belgio.