BABY BOSS di Hendel Butoy, Tom McGrath. Usa 2017. Durata: 97’. Voto 3/5 (DT)
Che succede quando mamma e papa ti chiedono se vuoi in fratellino? Per l’iperattivo e fantasioso settenne Tim significa solo guai. Davanti al naso e all’attenzione dei genitori, e tra i preziosi spazi di casa, s’installa infatti Baby Boss, un neonato che somiglia ad una specie di Baby Herman alla Roger Rabbit ma che al posto del sigaro in bocca indossa giacca, cravatta, e orologio sul polsino. Ovviamente Tim “vede” le reali sembianze e la truce cattiveria del neonato manager tiranno, mentre papi e mami no, carpendone anche il segreto della missione da poppante: la Baby Corp, multinazionale che sforna bebè, gli ha assegnato il compito di fermare l’arrembante attenzione dell’uomo verso i cuccioli di cane. Echi fracassoni alla Looney Tunes di Chuck Jones, e un ritmo di gag comiche spaventoso, Baby Boss rifà il verso a diversi telefilm e cartoni anni ottanta in alcuni sketch di contorno come nei relativi soundtrack (Batman e Robin che scendono nella bat-caverna, le avventure dei Banana Splits, il suono dello slow motion dell’uomo e della donna bionica), poi staziona nel più collaudato repertorio della visione mista infanti/adulti. Non avrà la profondità psicoanalitica di Inside Up ma in almeno tre quarti di film Baby Boss è una macchina d’animazione perfetta che sa mostrare quella sottile differenza di prospettiva esistenziale e di sguardo tra bimbi e maggiorenni. Tratto dal libro d’illustrazioni di Marta Freeze. Con una frase cult: “Se sapessero come fanno i bambini non ne vorrebbero mai uno”.