L’ACCABADORA di Enrico Pau. Con Donatella Finocchiaro, Barry Ward, Sara Serraiocco. Italia 2015. Durata: 85’. Voto 2,5/5 (DT)
Cagliari, 1943. La 35enne Annetta arriva in città dalla campagna mentre infuriano i bombardamenti Alleati. Vestita di nero, solitaria e silenziosa, la donna è in cerca della nipote Tecla, che scopre essere finita a fare la vita in una casa di tolleranza. Annetta le offre il suo aiuto ma la ragazza sembra respingerlo. Motivo della diffidenza è il passato da “Accabadora” della donna, colei che dà la “buona morte” ai moribondi che la richiedano, un ruolo tramandatole nel tempo dalla madre. Non ispirato direttamente al libro omonimo di Michela Murgia, ma chiaramente evocativo di quel fenomeno ancestrale ed antropologico richiamato nel titolo, il film di Pau sembra come trascinato e affascinato non solo da quella ma da diverse tracce di un passato “sardo” o addirittura “cagliaritano” (la processione di Sant’Efisio, le cere anatomiche di Susini), finendo per aprirsi a ventaglio oltre il mistero passato della protagonista, e andando a costruirle un “oltre” narrativo sentimentale ed amorevole, ben più stratificato e “distratto” dagli aspetti più crudi e rurali dell’attività femminile e storica del procurare il buon trapasso dei moribondi. L’obiettivo della macchina da presa disegna quadri statici e fissi talvolta persino d’insieme senza però farli vivere di una solennità alta e rigorosa, tanto che calcinacci, muri scrostati e veli neri paiono più come l’esteriorizzazione formale di un’idea che una sua rappresentazione stilisticamente essenziale. Sceneggia anche Igort. Coproduzione con l’Irlanda che regala le pittoresca ed efficace performance del bel Barry Ward di Loach. Davvero interessante il commento musicale spurio di Stephen Rennicks.