Jean-Luc Mélenchon sale sul palchetto di legno del Belvedere del parco di Belleville, spalle alla Tour Eiffel e faccia ai passanti, quando sono le 19 in punto. E’ una sfida, ma la piazza concentrata sulla musica e sulla faccia dello spagnolo Pablo Iglesias che compare al suo fianco, codino e camicia, neppure se ne accorge. Ci sono anche dieci camionette della polizia schierate e si entra nella zona solo previa perquisizione, ma anche questo è diventato routine. Mentre quasi tutti i candidati alle presidenziali hanno deciso di annullare i comizi finali dopo l’attentato sugli Champs-Elysées, al leader della France Insoumise non è passato nemmeno per la testa. “Perché avrebbe dovuto farlo? Usano la strategia della paura per farci emozionare e spingere gli elettori a votare a destra. Ma si dimenticano che noi non abbiamo paura”. Michel, 65 anni e di mestiere compositore, guarda la folla di giovani e si stringe nel cappotto. “Sarà un caso, ma non è la prima volta che succede qualcosa di grave alla vigilia della chiamata alle urne. Stavolta è diverso: abbiamo il candidato giusto e non ci sarà nessun voto utile. Jean-Luc ha vinto perché riporta tutto alla politica, quella vera”. Le teste di capelli bianchi si contano sulle dita della mano. E tra loro c’è il candidato ex socialista, colui che guida la coalizione che a sorpresa ha rosicchiato voti a sinistra e a destra fino a diventare il quarto incomodo che aspira al secondo turno delle elezioni di domenica prossima. “Ho paura che quello che è successo possa danneggiarci”, dice Héléne che ha appena compiuto 30 anni e fa l’attrice. “Non voglio fare discorsi complottisti, ma di sicuro rischia di cambiare l’esito delle elezioni. Sarebbe davvero un peccato perché Mélenchon è una grande occasione per noi: è il simbolo che una vera sinistra è possibile”. Ad andare oltre ci pensa l’ottimismo di Brice, 32 anni e imprenditore: “C’è una cultura della spettacolarizzazione dell’emergenza che favorisce le destre. Ma il Paese ha l’educazione per capire che un attentato non può bastare a cambiare le convinzioni politiche”.
Mélenchon è quello che difende l’idea di “un populismo di sinistra”, che da Beppe Grillo ha preso in prestito l’idea dell’ologramma e ha puntato tutto sui comizi via Youtube per arrivare a più gente possibile. Per chiudere la sua campagna ha chiesto di organizzare qualcosa di semplice: una serie di aperitivi in tutta la Francia dove ognuno ha portato qualcosa da casa (pane, vino, patatine, birra). Come fosse un pic-nic. Lui si è presentato a Parigi accompagnato da due ospiti d’eccezione: una rappresentante della sinistra portoghese e il leader di Podemos in Spagna Pablo Iglesias. “El pueblo unido jamas sera vencido”, intona la folla per tutta la durata del piccolo comizio. Il padrone di casa li lascia fare e liquida l’intervento in poche parole: “Per la prima volta dopo tanto tempo”, dice, “abbiamo interrotto la maledizione di essere costretti a votare per personaggi improbabili al secondo turno. Ora possiamo scegliere”. “Dégagez, dégagez”, cantano i suoi militanti rievocando un canto che simile viene usato quando ad andarsene devono essere i dittatori. Il nemico questa volta è la classe politica uscente, quella di François Hollande e di un sistema che, dicono, ha fallito. Quindi l’appello finale affidato a uno dei simboli della sinistra moderna in Europa: il leader di Podemos. “Per definire gli altri candidati ho una sola parola”, dice lo spagnolo abituato ad arringare le folle, “Macron è il marketing, Fillon la corruzione, Marine Le Pen la paura. Per Jean-Luc ne ho tre: liberté, égalité, fraternité. Votatelo e fatelo votare. L’Europa ha bisogno di un candidato come lui”. Piccolo boato, applausi e flash. Non più di venti minuti di intervento, i tre salutano e se ne vanno: devono lasciare spazio alla musica e all’aperitivo. “Noi veniamo qui anche e soprattutto perché c’è serenità”, spiega ancora Héléne. La scenografia la fa il parco del quartiere cinese, uno dei punti più belli di tutta la Capitale francese eppure sempre poco frequentato dai turisti. Sono le vie multiculturali dei romanzi di Daniel Pennac, ma anche quelle che frequentate dai veri bobo parigini. Non da ultimo, dalla terrazza si vede Notre-Dame-de-la-Croix, chiesa che negli anni ’80 divenne famosa per aver ospitato nella cripta i musulmani per la preghiera il giorno che venne bruciata la loro moschea.
“A me piace perché è arrabbiato”, spiega Eléonore, anche lei attrice trentenne. “E’ un politico in rivolta che non parla politichese. Sta dalla parte giusta della protesta: difende i diritti umani. Siamo qui per questo”. Il lavoro che ha fatto Mélenchon è stato soprattutto sui contenuti. E, almeno i suoi sostenitori, quando vengono interpellati elencano precisamente punti specifici del programma. “Io sono qui per la sua visione sulla Piccola e media impresa”, spiega Peter Lorre che ha 34 anni e guida una piccola azienda. “Ha capito che bisogna puntare su di noi, ed è già una conquista. Per non parlare della sua proposta per ridurre le tasse”. Per Morgan il punto che lo distingue è la tutela dell’educazione per tutti: “Lui vuole un’istruzione democratica, mentre Macron pensa solo a privatizzare”. Invece Marlène sostiene di essere arrivata a scegliere la France Insoumise per il programma dettagliato sull’ecologia: “Ho imparato sulla mia pelle di elettrice che tutti gli altri parlano senza mantenere le promesse perché troppo invischiati con il sistema. Questa è la mia ultima speranza”. Ma soprattutto il messaggio che condivide la platea di Mélenchon, quella stessa che si entusiasma ascoltando Iglesias, è che “un’altra sinistra è possibile”: “Ve lo ricordate quando Hollande diceva ‘il mio nemico è la finanza?’. Non gli abbiamo mai creduto. E infatti poi abbiamo visto che cosa è successo e come si è comportato”, spiega Pierre non senza ridacchiare. Poi guai a chiamarlo comunista (“è un ex socialista”) ed estremista. Specie sui temi dell’Europa. “Ha solo detto che andrà da Angela Merkel e chiederà rispetto, non vedo cosa ci sia di sbagliato”, ribatte Claire. Il silenzio elettorale inizia a mezzanotte, ma ai sostenitori della France Insoumise, ancora una volta, importa poco. Stanno a bere e cantare sul Belvedere del Parco di Belleville fino a notte fonda. “Intanto festeggiamo”, dice Claude, “ci sono ancora 24 ore per sperare nell’impossibile”.