Le notti in corsia, le lunghe ore in sala operatoria, la voglia di trasmettere agli altri le sue conoscenze. Dalla voce di Valerio Celentano, chirurgo napoletano di 32 anni, si percepisce tutta la passione per il suo mestiere. Mestiere a cui ha dedicato lunghi anni di studio e di pratica all’Università Federico II di Napoli. Dopo qualche tempo, però, si è reso conto che in lui c’era ancora del potenziale inespresso: “Il problema è che in Italia cominci a fare davvero il chirurgo solamente in tarda età – racconta -, e questo è un paradosso, perché a fine carriera bisognerebbe soprattutto essere dei maestri per le nuove leve, cercando di trasmettere loro le conoscenze acquisite in anni di sala operatoria”.
È questa la ragione che l’ha spinto a fare un’esperienza all’estero durante gli anni della specializzazione: “La mia fortuna è stata quella di trovare nello Yorkshire delle persone che mi hanno insegnato delle nuove tecniche e mi hanno spiegato come applicarle in prima persona”, dice. Una volta finita la specializzazione, Valerio ha deciso di tornare in Inghilterra e dopo sei mesi a Londra ha ottenuto una posizione come Consultant Surgeon al Queen Alexandra Hospital di Portsmouth. Ma guai a chiamarlo “cervello in fuga”: “Preferisco non utilizzare questa espressione perché non rende merito a tutti i professionisti che rimangono in Italia e che forse hanno anche più coraggio di noi che ce ne siamo andati”.
“Cervello in fuga? Questa espressione non rende merito ai professionisti che rimangono in Italia e che forse hanno anche più coraggio di noi che ce ne siamo andati”
Quello che svolge a Portsmouth è un ruolo di grande responsabilità, che si è guadagnato sul campo: “Per ottenere la Fellowship del Royal College of Surgeons, a soli 31 anni, ho dimostrato di aver sostenuto oltre 1.500 interventi chirurgici da primo – sottolinea –, mostrando un documento controfirmato dal Direttore sanitario, un’abitudine che sarebbe importante diffondere anche in Italia”. Ma tutto questo, ovviamente, comporta degli obblighi: “Tra i miei compiti c’è anche quello di insegnare il mestiere agli specializzandi – spiega – e ovviamente devo dimostrare di farlo nel migliore dei modi”.
Ora che si trova dall’altra parte della barricata ha ben chiari gli errori che vengono fatti in Italia: “Purtroppo da noi la specializzazione non è intesa come un percorso in cui ti insegnano a usare il bisturi – ammette –, e questo è un rischio perché una volta che sei diventato specialista ti buttano nella mischia e ti ritrovi da solo. L’idea che i giovani devono sempre aspettare, indipendentemente dal merito e dal talento, deve cambiare”. Valerio riceve molti messaggi da specializzandi spaventati dal futuro: “Molti mi scrivono di non sentirsi sicuri a effettuare interventi di base – spiega -, alcuni di loro durante la specializzazione sono costretti a osservare e basta, o al massimo a fare le foto al primario che opera. Non è la regola ovunque, perché ci sono anche realtà eccellenti, ma non si tratta nemmeno di casi isolati”.
“Molti specializzandi mi scrivono che sono costretti a osservare e basta, o al massimo a fare le foto al primario che opera”
Lui consiglia comunque a tutti di fare un’esperienza all’estero: “Spesso la parola estero in Italia è percepita come sinonimo di ‘migliore’ – sottolinea – io invece credo sia semplicemente un modo di lavorare diverso. Ed essendo la chirurgia una branca in continua evoluzione, questo è sicuramente un beneficio”. Nonostante l’amore per il suo lavoro Valerio ha grande nostalgia della sua città: “Se avessi la possibilità di trovare un ambiente in cui continuare a crescere e a esprimermi tornerei subito – conclude -, il mio sogno è quello di fare questo lavoro a casa mia”.