Viaggi

Tunisia, viaggio nei villaggi berberi del sud. Dove l’islamismo è accogliente

Homt Souk, Ksar Hallouf, Chenini, Guermessa: sarebbero nomi di luoghi conosciuti e amati, se l’ondata turistica italiana ed europea degli anni 80 e 90 verso la Tunisia si fosse stabilizzata e articolata. Invece, torno da una magnifica escursione pasquale nel sud della Tunisia con la sensazione di essere andato doppiamente controcorrente.

Restano negli occhi le sfumature gialle, ocra, beige del paesaggio pre-desertico dei bassi e pietrosi monti berberi accanto a Tataouine e Medenine, restano il verde intenso delle tante piccole oasi (bagnate pochi giorni fa da una sospirata pioggia) il rosa dei fiori, le illusioni ottiche delle vecchie costruzioni che si confondono con la terra e le rocce adiacenti, di cui sono fatte.

Dicevo “doppiamente controcorrente” perché di turisti europei quasi non se ne vedono neanche nei dedali, negli spazi magici, nel bianco e nel blu della medina di Homt Souk – il capoluogo dell’isola di Djerba – e di quella di Tunisi (forse la più bella medina del mondo). Ancora di meno se ne scorgono nella zona dei villaggi berberi, dove anni fa stava crescendo la moda delle passeggiate e del trekking in uno scenario da antico testamento: appoggiandosi al “taxi berbere”, cioè all’asino, come ci dice il giovane guardiano della moschea dei Sette dormienti, pronto a proporre la tre giorni dell’escursionista.

Per venire in questa zona, infatti, non c’è tanto il problema della distanza: bisogna inoltrarsi per poco più di due ore di taxi dall’aeroporto di Homt Souk o per poco più di sette ore da Tunisi. Più grande è il problema di superare il complesso della paura. Siamo a un centinaio di kilometri dal confine libico e anche dalla città di Ben Guerdane, assaltata da un gruppo di jihadisti poco  più di un anno fa.

Ed è anche in corso, nel “governatorato” di Tataouine, una protesta sociale per avere posti di lavoro. Ma, come spiega il “doctor” Habib, profondo conoscitore della zona e della sua storia, sono posti molto sicuri. “Lascio sempre la macchina aperta e nessuno mi porta via niente”. Qui l’islamismo è tradizionalismo moderato, non ci sono segni di aggressività. Eppure, il doppio pregiudizio – sulla Tunisia, sul sud vicino alla Libia – tiene lontani i turisti europei.

Quando abbiamo telefonato a Hedi per prenotare una camera nella Maison d’hotes dar sana nel palmeto di Ksar Hallouf, uno dei pochi alberghetti di paese, non credeva alle sue orecchie. “Due italiani? Vi vengo a prendere a Medenine“. Ci richiamava ogni tre ore per esser sicuro di aver capito bene, che davvero venivamo. E oltre al passaggio (di 45 kilometri!) ci ha fatto un prezzo davvero straordinario: 50 dinari, ovvero neanche 11 euro a testa per cena e colazione cucinate da mamma berbera con il pane fatto in casa e pernottamento nella grotta attrezzata con doccia e acqua calda.

Nella sovrastante piazzaforte degli antichi granai fortificati, dove con un po’ di preavviso si può anche alloggiare o campeggiare, abbiamo immaginato un festival musicale. A un certo punto è arrivato un bus carico di escursionisti tunisini provenienti dalla capitale  che hanno intrapreso una passeggiata di due ore. Se i tedeschi e agli altri europei amanti di questo tipo di turismo latitano, sta infatti cominciando a crescere la passione per le passeggiate e l’escursionismo, oltre che l’interesse per il patrimonio storico da parte dei tunisini di ceto medio e di città.

Ne abbiamo incontrati alcuni anche a Chenini, mitica meta della regione a sud di Tataouine, dove il doctor Habib ha aperto un alberghetto nelle grotte, il Kemza. E dove si possono seguire tutte le principali partite di calcio europee insieme agli  abitanti del villaggio nel bar in alto sulla cresta, accanto alla moschea bianca, come su un balcone tra due paesaggi molto vasti. Persino qui si riesce ad arrivare senza auto privata, tra passaggi e taxi collettivi. Anche ad aprile la sera bisogna coprirsi: la brezza fresca arriva dal non lontano deserto di sabbia. In tutta l’escursione abbiamo incontrato solo gentilezza e cordialità, mai invadenza, solo talvolta timidezza. E la solita (apparente?) predisposizione positiva verso gli italiani: noi, i vicini, mai come ora così poco presenti.

Collaborazione e foto di Amedeo Siragusa.