“Subito dopo l’armistizio avevo cercato di trovare i contatti per entrare nella Resistenza, ma era difficile trovarli, perché anche con il governo Badoglio c’era un certo regime”. Gildo Bugni è un volontario della Resistenza. Uno che dalla parte della lotta antifascista non si trovò per caso. Non era un disertore dell’esercito di Salò; non era maggiorenne e non era quindi obbligato a fare una scelta tra la deportazione e il combattere a fianco dei tedeschi, come tanti che ricevettero la cartolina per arruolarsi nel regime fantoccio della Repubblica sociale italiana. Poteva continuare la sua vita di adolescente, ma non aveva ancora 16 anni quando l’8 settembre del 1943 scelse definitivamente la lotta contro la ditta. Non era la prima volta che la Storia sconvolgeva la sua giovane vita.

Cresciuto a L’Aquila, fin da bambino era stato abituato a trovarsi periodicamente gli agenti dell’Ovra, la polizia segreta fascista, in casa. Venivano per suo padre Ugo, fervente attivista socialista, che nel 1936 ha pagato con la vita il suo dissenso aperto al regime. Lo uccisero non solo a forza di botte: gli fecero bere del lubrificante d’auto bruciato che nel giro di poco tempo lo porterà al morte. “Capisci? Non è stato molto difficile per me fare la scelta di diventare partigiano”, ci spiega passeggiando per il quartiere Savena a Bologna il partigiano Arno. Così, con questo nome di battaglia, lo chiameranno i suoi compagni partigiani su in montagna. In Emilia era arrivato nel 1937 dopo la morte del padre. Poi, dopo l’8 settembre a battezzarlo alla lotta partigiana sarà Giovanni Casoni, un odontotecnico comunista: “Era un habitué delle galere fasciste, come mio padre”, ricorda Bugni. E come il padre di Bugni anche Casoni finirà ucciso dai tedeschi. Arno invece, ferito e arrestato più volte dai nazifascisti, riuscirà sempre a sfuggire alla deportazione e alla fucilazione. E oggi, a 72 dalla Liberazione, racconta della sua scelta, così giovane, della lotta armata. Della possibilità di dovere sparare. E ammazzare: “Sono entrato nella Resistenza per lottare, non pensavo di dovere uccidere. Poi quando mi ci sono trovato di fronte era inutile fare delle tragedie. La mia scelta era stata meditata e consapevole e per me non fu un fatto traumatico, fu un fatto più che normale”. Oggi Arno è segretario dell’Anpi di Bologna ed è uno dei partigiani più attivi nel diffondere il ricordo di quella guerra di Liberazione.

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