Quanto tempo dall’ultima volta: il battito accelerato, il pensiero che vola altrove, l’allegria di quando tutto sembra tutto facile, la tentazione di voler condividere tutto, sempre insieme. Il Pd ha finalmente un nuovo uomo della provvidenza da ammirare, una nuova storia a cui affezionarsi. Clinton ormai è una storia troppo vecchia, Blair è lontano, Jospin non è più di moda, Zapatero è ormai troppo, lo vedono come se fosse il Che, Obama se n’è andato troppo presto. Ora però tutto ha di nuovo un senso per il centrosinistra: com’erano felici, sotto al palco di Macron, com’erano vincenti, la musica dance, tutto quel blu elettrico, le stelle sulle bandiere dell’Europa. Ecco la via d’uscita dal buio: se gliel’avessero detto prima, a Renzi, magari quella volta non l’avrebbe tirata via la bandiera dell’Unione Europea dal suo ufficio di Palazzo Chigi. Al Pd dopo 5 mesi di ingessatura (nel senso delle botte prese al referendum costituzionale) viene finalmente un’idea: copiare. Passate 48 ore dal primato (temporaneo) di Emmanuel Macron, indossa la nuova maschera e ricomincia a respirare. La strada è indicata da Parigi: a Milano tutti vestiti di blu, con un mega-striscione con scritta gialla e anonima, sventolano le bandiere dell’Unione impallando quelle del partito, che sono rimaste in quinta, in sesta, in settima fila, soffocate. Mentre a Roma il Pd si rifiuta di partecipare al corteo dei partigiani perché “divisivo”, a Milano i democratici celebrano il 25 aprile così, in total blue.

Era stato tutto annunciato prima della domenica delle presidenziali. Ma la scelta ora è ancora più convinta, plurale e condivisa: a guidare il troncone del corteo ci sono Gennaro Migliore, Emanuele Fiano, Luigi Zanda, Lia Quartapelle e – capofila – il ministro Maurizio Martina, che con Matteo Renzi fa il ticket per la segreteria del Pd che ancora si capisce a stento cosa vuol dire. Ci sono anche Barbara Pollastrini e Pierfrancesco Majorino che però non indossano la maglia blu con le stellone gialle. Su Twitter la festa è contornata con #tuttoblue, metà in italiano e metà in inglese.

D’altra parte tutto il partito è troppo euforico per il risultato di Macron per non pensarci. Piero Fassino, lunedì, è arrivato a rovesciare il successo di uno che si dice “né di destra né di sinistra” festeggiando l’avvento tanto atteso del centrosinistra anche in Francia. E lo stesso Renzi non fa altro che commentare, felicitarsi, sostenere, ragionare su Macron, che ha dimostrato – ha detto al Qn – che “si vince al centro”.

Ma Macron è soprattutto uno che ha deciso di sconfiggere la Le Pen che dice “no euro”, replicando con “sì euro”. L’ex capo del governo, quindi, forse fermerà il pendolo che lo ha portato dall’orgoglio per l’incontro di Ventotene con François Hollande e Angela Merkel a nascondere la bandiera con le 27 stelle mentre faceva campagna elettorale per il referendum costituzionale, dalle polemiche sui giornali (“Un’Europa che ci dice tutto del pesce spada, ma che si gira dall’altra parte di fronte ai migranti morte di sicuro va cambiata”) all’esclusione dalla conferenza stampa del vertice di Bratislava su immigrazione e crescita. L’eurodeputata Sylvie Godard, liberaldemocratica, sostenitrice del leader di En Marche, qualche giorno fa ha mandato un primo messaggio al Pd, se proprio Macron piace così tanto: “Macron è pronto a lavorare con qualsiasi leader, Renzi forse sta cambiando un po’ idea sull’Europa. Macron non ha mai criticato l’Ue, ha sempre mostrato rispetto verso Bruxelles e non ha mai usato la parola flessibilità: saremmo molto contenti se, chiunque sarà il leader del Pd, andasse in questa direzione”. C’era stato chi, dall’Italia, l’aveva messa giù più facile: “La gara italica a chi è più Macron è sintomo di debolezza e provincialismo“. Era, come spesso succede negli ultimi mesi, il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda

Accecato dal nuovo amore, il Pd perde anche quel poco di autostima. Fino a due mesi fa, infatti, era Macron a citare – esplicitamente o meno – la linea politica di Renzi: mentre faceva campagna elettorale, a Lione, parlava della riforma del lavoro stile Jobs Act, del rifiuto di redditi universali come propongono le forze di sinistra, addirittura del bonus cultura da 500 euro che in Italia è stato accolto con qualche sorrisetto ingeneroso. Ora invece il Pd, durante la consueta corsa a cercare un prototipo con cui ispirarsi, rincorre quello che “non è né di destra né di sinistra”, precipitando su primarie che sono in programma domenica prossima ma di cui da settimane non parla quasi nessuno. E sperando di non perdere – oltre che l’autostima – anche gli elettori ai gazebo.

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