Sventato, grazie alle modifiche fatte alla Camera, il rischio di una moltiplicazione dei ricorsi. Ma Nunzio Fragliasso, reggente della procura di Napoli dove su 8mila procedure pendenti se ne eseguono solo 100 all'anno, spiega che non viene sciolto il vero nodo: la magistratura non ha autonomia di spesa. E i sindaci evitano di chiedere prestiti ad hoc per non indebitarsi e per motivi elettorali
“Il vero problema della nuova legge? Non affronta il nodo di fondo: dare autonomia di spesa alla magistratura”. Per Nunzio Fragliasso, che da febbraio guida la procura di Napoli come reggente ed è responsabile della sezione Edilizia e urbanistica, il ddl sui “criteri per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi” è destinato a lasciare tutto come prima. Anche quando sarà legge (sta per arrivare in aula al Senato per il via libera definitivo dopo più di tre anni di navetta parlamentare) il 90% delle ordinanze in materia continuerà a rimanere lettera morta, in un Paese in cui secondo Fragliasso c’è la “quasi matematica certezza che l’immobile abusivo non verrà abbattuto”. Questo nonostante ci siano regioni che, per ogni 100 edifici autorizzati, ne contano oltre 60 abusivi: la Campania è a quota 63, la Calabria a 61,8, il Molise a 69,5. A Napoli, su 8mila demolizioni pendenti se ne eseguono poco più di 100 all’anno.
La nuova legge, primo firmatario l’ex senatore di Forza Italia passato ad Ala Ciro Falanga (ma l’hanno sottoscritta pure Antonio Razzi, Mariarosaria Rossi e Domenico Scilipoti) puntava in teoria a razionalizzare la materia stabilendo i criteri di priorità che il pubblico ministero della Procura competente a eseguire i provvedimenti di abbattimento deve osservare nel decidere quali attivare. La versione licenziata da palazzo Madama in prima lettura era un pasticcio: stabiliva che le ruspe dovessero entrare in azione innanzitutto sugli immobili pericolosi e su quelli usati per lo svolgimento di attività criminali, e ben venga, ma relegava al quinto posto gli “immobili di rilevante impatto ambientale o costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico ovvero a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico”. Nel passaggio a Montecitorio il testo è stato modificato sancendo che i primi a cadere dovranno essere invece proprio gli ecomostri e gli immobili abusivi in zone soggette a vincolo sismico, per la soddisfazione di Legambiente e del suo presidente onorario nonché presidente della commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci secondo cui si è evitato un condono mascherato.
Seguono quelli che costituiscono un pericolo “per la pubblica e privata incolumità” e quelli di proprietà di persone condannate per associazione di tipo mafioso o per aver agevolato organizzazioni criminali. In generale, la priorità andrà “di regola agli immobili in corso di costruzione o comunque non ultimati alla data della sentenza di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati“. Risultato: i cosiddetti abusi “di necessità”, cioè case abitate da famiglie che non hanno altre sistemazioni, di fatto scamperanno alle ruspe. Tuttavia i criteri di priorità, nel passaggio alla Camera, sono stati spostati dal testo unico dell’edilizia al decreto legislativo sui poteri di organizzazione dell’ufficio del procuratore, come avevano chiesto i magistrati sentiti in audizione sulla prima versione del ddl. “In questo modo un’eventuale violazione non si traduce nell’invalidità della demolizione e si evita la paralisi“, spiega Fragliasso, che l’anno scorso aveva lanciato l’allarme sul rischio di una moltiplicazione degli “incidenti di esecuzione“, in pratica ricorsi per verificare se la decisione di abbattere quello specifico stabile è corretta. Che avrebbero bloccato del tutto le demolizioni.
Tutto bene allora? No, perché il ddl approvato a larga maggioranza il 12 aprile in commissione Giustizia al Senato, con il sostegno tra gli altri della senatrice dem Rosaria Capacchione, continua secondo il pm a non occuparsi del vero motivo per cui in Italia non si demolisce: “Gli unici soggetti abilitati a chiedere finanziamenti alla Cassa Depositi e Prestiti per le demolizioni sono i Comuni, anche quando deve occuparsene l’autorità giudiziaria. E i Comuni non lo fanno, sia per non indebitarsi ulteriormente sia perché temono un ritorno elettorale negativo. La base difficilmente è portata a rinnovare fiducia ad un’amministrazione che butta giù le case abusive”. Poco cambierà con l’istituzione, prevista dal ddl, di un Fondo di rotazione da 10 milioni di euro l’anno (soldi, comunque, da restituire in 10 anni) per pagare le demolizioni, che costano in media 80mila euro l’una: i destinatari restano i sindaci, mentre le procure continueranno a non avere disponibilità diretta di fondi ad hoc. “E il nodo gordiano è proprio questo”, ribadisce Fragliasso. “Se si prevedesse che il pm possa procedere alle demolizioni imputando direttamente al capitolo delle spese di giustizia le somme di denaro a ciò necessarie, verrebbe effettuato un numero maggiore di demolizioni e in tempi più celeri. Invece continuiamo a dipendere dai Comuni”.
A conti fatti, dunque, nulla cambia. La relazione sull’andamento degli abusi e degli abbattimenti, che il ministro delle Infrastrutture dovrà presentare alle commissioni parlamentari competenti entro il 31 marzo di ogni anno, continuerà a fotografare una situazione in cui, parola di Fragliasso, l’abusivismo “è sicuramente incentivato dalla quasi matematica certezza che l’immobile abusivo non verrà abbattuto” e “le ordinanze comunali di demolizione effettivamente eseguite sono l’eccezione, non la regola”.