La madre di tutte le battaglie a tutela di quel paesaggio di cui all’articolo 9 della Costituzione e della quale ci si ricorda solo nei preamboli delle leggi e mai nella sostanza, è la lotta all’abusivismo edilizio. Lotta? Ma che dico mai? Semmai “lotta a favore all’abusivismo”. Tappeti rossi sul nostro già martoriato suolo a chi costruisce abusivamente. La nostra legislazione è un susseguirsi di condoni veri o mascherati che consentono il mantenimento dello status quo e di fatto legittimano il perdurare dell’illegalità. Perché se chi governa “perdona” ciclicamente il ripetersi di un reato, di fatto induce in chi pratica quel reato la convinzione che ciò che ha fatto magari non sia lecito, ma tollerato sì.
L’esordio della mani per i condoni data 28 febbraio 1985, quando la legge n. 47 del governo Craxi-Nicolazzi disegna un quadro normativo sull’edilizia “provvisorio”, ma che ha come maggiore conseguenza quella di ammettere al condono tutti gli abusi realizzati fino all’1 ottobre del 1983. Secondo i dati del Centro ricerche economiche e sociali del mercato dell’edilizia (Cresme), l’effetto annuncio del primo condono avrebbe provocato l’insorgere – nel solo biennio 1983-84 – di 230.000 manufatti abusivi, mentre quelli realizzati fra il 1982 e tutto il 1997 sarebbero stati 970.000.
A riaprire i termini del condono, meno di 10 anni dopo, è la legge n. 724 del 23 dicembre 1994 (primo governo Berlusconi), intitolata significativamente “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”. La 724 spalanca le porte della precedente legge 47/1985, estendendola agli abusi realizzati fino al 31/12/1993. Nel biennio successivo si contano 14 decreti, (l’ultimo fu il Dl 495/1996) tutti decaduti per mancata conversione in legge e tutti contenenti una norma, un richiamo, anche solo un riferimento alla sanatoria edilizia. La raffica di decreti termina solo quando la Corte costituzionale (sentenza 360 dell’ottobre del 1996) stabilisce l’illegittimità della prassi di reiterare all’infinito le decretazioni d’urgenza facendone poi salvi gli effetti.
L’ultima sanatoria ex lege risale al 24 novembre 2003 (ancora Berlusconi) con la conversione del decreto 30 settembre n. 269, “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”.
Perché oggi parlo di abusivismo? Perché il tema resta sulla cresta dell’onda. Partiamo dal governatore piddino Vincenzo De Luca che in Campania vuole sanare 70mila case abusive. E pensare che quelli del Pd campano, quando a legiferare sull’abusivismo edilizio era la giunta di centrodestra guidata da Stefano Caldoro (Pdl), usavano questi toni: “Finché il territorio sarà considerato oggetto di baratto in cambio di consensi elettorali, quelle che poi verranno saranno lacrime di coccodrillo“. Passiamo poi al governatore Pd della Sicilia Rosario Crocetta: secondo un’anticipazione del quotidiano La Repubblica dell’8 aprile scorso, “il governo Crocetta e una maggioranza trasversale all’Assemblea regionale siciliana presenteranno il piano sull’abusivismo, un pacchetto di norme che, per almeno un anno, sospende le demolizioni di case costruite sulla costa, anche all’interno dei 150 metri dalla battigia: “Nessuno parli di sanatoria – ha detto Crocetta – Si tratta di una norma che evita l’abbattimento se lì si possono realizzare opere di servizio pubblico, come lidi o altro, e nelle more dei piani che dovranno fare i Comuni si bloccano le ruspe per almeno un anno”.
Soprattutto, il tema dei condoni va affrontato perché è proprio di questi giorni la discussione in Parlamento di un disegno di legge titolato (“Disposizioni in materia di criteri per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi“, presentato nel 2013 da tale Ciro Falanga, deputato trasformista campano, prima Forza Italia, ora in Ala, la compagine dei verdiniani. Votato al Senato il 22 gennaio 2014, poi trasformato alla Camera e lì votato il 18 maggio 2016, licenziato all’unanimità dalla commissione Giustizia del Senato il 12 aprile scorso, il testo andrà presto al voto finale del Senato. In esso si fissa l’aberrante criterio secondo cui non tutti gli abusivismi sono uguali: ci sono quelli di speculazione e quelli di necessità. Dato questo presupposto, in futuro dovrà darsi priorità ai primi nell’abbattimento. E non lo si chiami condono edilizio, perché formalmente non lo è: come definire, però, un provvedimento di legge che torna a distinguere tra “abusivismo di necessità” e “abusivismo di speculazione”, stabilendo che il primo deve finire in coda nella scala di priorità quando c’è da decidere sugli abbattimenti, rinviandoli a data da destinarsi, ossia mai.
Il Ddl prevede anche che a occuparsi delle demolizioni future non saranno più i sindaci, bensì i prefetti, stanziando 10 milioni di euro ad hoc l’anno dal 2017 al 2020. Dato che si calcola che ogni demolizione costa 80 mila euro, in sostanza si potrebbero demolire appena 130 edifici l’anno. In tutta Italia. Attualmente sono 46.760 le ordinanze di demolizione che attendono esecuzione (dati fermi al 2011) e ogni anno vengono realizzate circa 20.000 case abusive.
Sempre di più mi vergogno di essere italiano. E mai e poi mai, a maggior ragione, entrerei in politica in una nazione in cui si varano norme che favoriscono la delinquenza allo scopo di accumulare consenso elettorale. Se in una remota ipotesi entrassi in politica e addirittura facessi parte del governo, cosa farei io in materia di lotta all’abusivismo edilizio?
Ecco alcuni spunti. 1) Accertamento di tutti gli abusi esistenti sul territorio e relativa pubblicità cartacea presso l’albo pretorio comunale e in rete; 2) monitoraggio costante del territorio al fine di evitare nuovi abusi; 3) commissariamento di quei comuni che non hanno uno straccio di piano regolatore; 4) inasprimento delle pene per coloro che realizzano costruzioni abusive; 5) immediata esecutività delle ordinanze (contingibili e urgenti) di abbattimento, una volta accertata l’assenza di titolo abilitativo (il procedimento penale segua la via che gli compete); oneri per l’abbattimento e il rispristino a carico del delinquente; obbligo di riutilizzo del materiale derivante dalle demolizioni.
Voglio concludere con un’osservazione sul cosiddetto “abusivismo per necessità”. Di cosa parliamo, per favore? Con tutti gli alloggi liberi che ci sono sul territorio italiano, è davvero “necessario” costruire una villetta? Possibile che con tutti gli alloggi in vendita o da affittare, una famiglia abbia come unica alternativa all’andare a dormire sotto i ponti, pagare un’impresa che le realizzi una casetta?