“Non è un suicidio, non è ipotizzabile come un suicidio”. Sono le parole con cui il Procuratore della Repubblica di Castrovillari, Eugenio Facciolla, in un’intervista a RaiSport ha annunciato la riapertura dell’inchiesta sulla morte di Donato ‘Denis’ Bergamini il 18 novembre 1989 lungo la statale Jonica. A 28 anni di distanza, ancora una volta viene messa in discussione la tesi secondo cui il calciatore del Cosenza si sarebbe ucciso da solo. Due informazioni di garanzia sono state notificate all’ex fidanzata di Bergamini, Isabella Internò, e a Raffaele Pisano, conducente del camion che investì il calciatore.
“Procederemo con la riesumazione del cadavere”, ha affermato Facciolla nell’intervista andata in onda mercoledì nell’edizione delle 18.30 del Tg Sport su Rai2. Un modo per smascherare i presunti insabbiamenti e depistaggi maturati in questi anni di omertà, che hanno portato le indagini sui binari morti dell’archiviazione. Così finì infatti il processo per omicidio colposo a carico di Pisano, l’autista del veicolo ritenuto morto per vent’anni e poi miracolosamente “resuscitato” (viveva tranquillo nella sua abitazione di Rosarno). Così finì anche il secondo processo, a carico della fidanzata di allora, indagata per omicidio volontario, insieme allo stesso Pisano, sospettato invece di favoreggiamento.
“Vogliamo approfondire con le tecniche di cui oggi si dispone tutti i possibili aspetti di quello che non è un suicidio”, ha detto il procuratore. Alla domanda di RaiSport sul perché Bergamini sarebbe stato ucciso, Facciola ha risposto: “Emerge un mix di questioni sentimentali e di questioni legate ad altre tematiche”. “Il discorso droga è presente fin dai primi atti dell’indagine – ha aggiunto il magistrato – la storia giudiziaria più o meno recente ci consegna Padovano come un amico stretto di Bergamini. I due erano molto legati e avevano una conoscenza di rapporti e di situazioni diversa da quella di altri. Bergamini non era legato solo a Padovano ma anche ad altri, tra cui l’ex portiere Simoni e comunque c’erano anche altri soggetti“. Il procuratore cita Michele Padovano, anche lui giocatore del Cosenza dal 1986 al 1990, e Luigi Simoni, il portiere della squadra calabrese dal 1984 al 1989 che però all’epoca della morte di Bergamini si era già trasferito a Pisa.
“Sembrerebbe una vicenda chiusa in un rapporto tra pochi soggetti che evidentemente hanno goduto di protezione“, ha spiegato ancora Facciolla, secondo cui “è stata creata una cortina fumogena per evitare che venisse fuori la verità“. Il procuratore non esclude il coinvolgimento della mafia e davanti ai microfoni ha raccontato due episodi: “Il giorno del funerale, sul pullman del Cosenza c’era anche la fidanzata di Bergamini con una busta che conteneva i vestiti del calciatore. Questa busta se la passarono, per un fatto affettivo, i calciatori. Poi però sparì. Gli abiti di Bergamini, infatti, non ci sono più. Subito dopo il funerale, inoltre, Padovano accompagnò la fidanzata di Bergamini a casa, fu invitato a salire con insistenza. Lui andò sopra e si trovò di fronte a una festa. C’erano delle paste. Il giorno del funerale, quindi, stavano festeggiando”. “È un omicidio in concorso“, ha concluso Facciolla.