Associazione mafiosa, traffico di droga, armi, estorsioni e corse clandestine le accuse. Secondo i pm, le cosche controllavano lo spaccio attraverso la security dei principali locali reggini. Mentre nei quartieri dormitorio come Arghillà reclutavano manovalanza e organizzavano gare clandestine di cavalli
“Quanto sistemiamo a lui e ce ne andiamo, ho due botte scendo e gliele tiro… gli sparo in faccia e ce ne andiamo… il kalashininkov chi l’ha preso?”. “Non lo so”. “C’è quella nuova corta, quella che hai preso a mio fratello”. Negli atti dell’operazione “Eracle” ci sono anche le frizioni tra le cosche storiche della ‘ndrangheta di Reggio Calabria e i nuovi arrivati appartenenti alle famiglie rom. Il blitz è scattato stamattina all’alba. Su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, in manette sono finiti i rampolli dei più importanti casati mafiosi della città dello Stretto, ma anche gli esponenti della comunità rom di Arghillà e il branco che, nelle ultime estati, frequentava i lidi del lungomare per spacciare cocaina.
Associazione mafiosa, traffico di droga, armi estorsioni e corse clandestine di cavalli. Carabinieri e polizia hanno arrestato 15 persone: Domenico Nucera, Francesco Ferrante, Luciano Baione, Francesco Barbaro, Enrico Giovani Barcella, Fabio Caccamo, Basilio Cutrupi, Salvatore Falduto, il capo rom Cosimo Morelli detto “Cocò”, suo fratello Andrea Morelli, Fabio Morelli Fabio Vittorio Minutolo, Michele Panetta, Giuseppe Emanuele Pecora e Antonino Saladino.
L’inchiesta “Eracle”, coordinata dal procuratore Federico Cafiero De Raho e dai pm Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Giovanni Gullo e Sara Amerio, è molto più ampia e ha stroncato le nuove leve della ‘ndrangheta che hanno monopolizzato i lidi del lungomare di Reggio utilizzati come luogo di spaccio attraverso i servizi dei buttafuori affidati a personaggi della ‘ndrangheta.
LA MOVIDA IN MANO ALLE COSCHE
Uno dei principali indagati è Domenico Nucera che era a capo di un gruppo di “buttafuori” organizzato, per conto della cosca Condello, a presidio del territorio e dei locali notturni dell’area reggina. “Litigate… Non fate entrare le persone… – ascoltano i carabinieri in un’intercettazione – A quelli che conoscete gliela date (la cocaina, ndr).. A quelli che non conoscete.. il tempo che mi chiamano… per guadagnare 50 euro mi devo fare 5 anni di galera… che ce ne sono pure là dentro mischiati… il tempo di prendere (conoscere, ndr) l’ambiente… ma poi, ce ne sono tutti di Arghillà. C’è Mico Tegano… questi qua che stanno spacciando”.
“L’attività investigativa intrapresa – è scritto nel provvedimento di fermo – ha permesso di fare luce sull’infiltrazione della ‘ndrangheta nei servizi di security ai più noti locali della movida reggina, invernale ed estiva. La scelta della ‘ndrangheta di espandersi in questo settore è frutto di un’attenta valutazione. Seppure i guadagni non possono essere paragonati a quelli derivanti da altre attività illecite più remunerative (droga, traffico di armi), questo tipo di attività permette alle famiglie di ‘ndrangheta reggina di mantenere saldo il controllo del territorio, dando visibilità alla cosca stessa, ribadendo in questo modo la loro presenza capillare. Questi moderni servizi di ‘guardiania’ hanno fatto trasparire un dato ancora più rilevante, ossia la comunione di intenti di due importanti famiglie ‘arcote’: ossia quella dei Condello e quella dei Tegano”.
Tra i reati contestati c’è anche l’aggressione ad alcuni ragazzi protagonisti di una lite in uno dei lidi reggini. Una spedizione punitiva avvenuta poche ore dopo quando i buttafuori della ‘ndrangheta hanno addirittura gambizzato un giovane perché un suo amico aveva dato uno schiaffo all’organizzatore della serata.
Nel provvedimento di fermo ci sono pure i verbali del collaboratore di giustizia Mariolino Gennaro che, ai pm, racconta come “la famiglia Condello si era inserita in un business per il servizio di buttafuori e sicurezza degli esercizi commerciali notturni ed, in particolare, dei lidi di Reggio Calabria”.
ARGHILLÀ “TERRA DI NESSUNO” DOVE LE ‘NDRINE AFFILIANO I ROM
Oltre alle numerose estorsioni e danneggiamenti anche a locali storici di Reggio Calabria, come la gelateria “Cesare”, gli inquirenti hanno fatto luce su cosa avviene in uno dei quartieri più difficili della città, ad Arghillà diventata dormitorio dove le uniche regole sono quelle strada.
“Oggi abbiamo tutti una cosa, tutti una cosa, tutti un rispetto il problema è unico”. A parlare è il capo rom Cocò Morelli che, stando agli atti dell’inchiesta, per volere del boss Giovanni Rogolino detto “Craxi” è ormai a tutti gli effetti un affiliato alla ‘ndrangheta.
“II quartiere Arghillà di Reggio Calabria – scrivono i pm nel provvedimento di fermo – è, notoriamente, caratterizzato da una significativa presenza di esponenti della comunità rom ed è stato teatro, negli ultimi decenni, di una recrudescenza delinquenziale, connotata dall’instaurazione di rapporti di stretta e proficua collaborazione con gli storici rappresentanti della criminalità organizzata reggina. In tale contesto è emersa la figura di Cosimo Morelli (detto Cocò) e del fratello Andrea, personaggi dalla poliedrica vocazione criminale, collocatisi al vertice di una congrega organizzata di ‘zingari’”.
In sostanza una vera e propria cosca. Griffati e al volante di suv da 80mila euro, infatti, Cocò ed Andrea Morelli negli ultimi anni sono diventati gli armieri delle famiglie mafiose, spacciano la cocaina di San Luca e sparano su commissione: “Hanno assunto la guida di un vero e proprio ‘esercito’ di banditi dediti alla consumazione di reati ‘comuni’, ma al contempo postisi a servizio delle cosche di ‘ndrangheta, quale braccio armato ed operativo da utilizzare per il raggiungimento degli obiettivi associativi. In particolare, i Morelli hanno stretto proficui rapporti di alleanza con le famiglie dello schieramento condelliano” per il quale hanno messo “a disposizione i suoi numerosi e versatili ‘picciotti’, garantendosi al contempo la legittimazione ad esercitare il controllo mafioso sull’intero villaggio Arghillà ed a gestire i lucrosi business criminali, non ultimo quello legato allo spaccio di sostanze stupefacenti”.
LA SCUDERIA CONDELLO
L’inchiesta “Eracle”, inoltre, ha consentito ai pm di aprire uno squarcio su un altro business della ‘ndrangheta: le corse clandestine dei cavalli che, per correre, vengono maltrattati e sottoposti a cure veterinarie inadeguate. Tra i capi di imputazione contestati agli indagati, infatti, c’è anche l’esercizio abusivo della professione sanitaria.
Per i magistrati, infatti, gli arrestati sono “soggetti in grado di disporre di sufficienti capitali da investire nell’acquisto dei cavalli e nella successiva preparazione degli animali alle competizioni, attraverso l’acquisto e l’impiego di farmaci, somministrati allo scopo di accrescerne le potenzialità o dì inibirne sensazioni quali dolore e fatica”. Le corse avvenivano la mattina sulla strada Gallico-Gambarie dove gli uomini del clan riuscivano anche a bloccare la circolazione per consentire ai fantini di non essere disturbati.
“L’organizzazione – scrivono sempre i pm – poteva disporre di un locale adibito a ricovero di animali e dei citati farmaci, oltre ad altro materiale (fustini, torcilingua, carrozzini, videocamere) utile allo svolgimento delle competizioni clandestine”. Per gli investigatori, i due promotori delle corse clandestine erano Domenico Nucera e Domenico Francesco Condello (non fermato, ndr), “astro nascente della cosca” e figlio del boss Pasquale Condello detto il “Supremo”, arrestato nel 2008 dopo oltre 20 anni di latitanza.
Ed è stato proprio il figlio del mammasantissima detenuto al 41 bis ad avere allestito la cosiddetta “Scuderia Condello”, una stalla che “pur essendo sita su di un terreno di proprietà di Ficara Carmelo, emigrato al nord, è nell’assoluta disponibilità degli odierni indagati, che ne dispongono a loro piacimento, tenendo i loro cavalli, addestrandoli, somministrando loro farmaci e riunendosi per discutere dell’organizzazione e degli esiti delle competizioni”.
Una sorta di ritorno al passato che riporta “alla mente gli antichi fasti della scuderia detenuta dai Condello, che vantava numerose vincite e cavalli valenti nelle competizioni sportive”. Oggi i tempi sono cambiati e i cavalli del clan gareggiano “in condizioni di salute precarie” e “sono costretti a gareggiare lungo strade asfaltate, procurandosi danni agli arti, sferzati da frustate e imbottiti di sostanze che ne incrementano la potenzialità”.