Ci sono anche il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e il presidente della Provincia Antonio di Marco tra le sei persone indagate alla Procura di Pescara per la tragedia dell’hotel Rigopiano, travolto da una valanga che uccise 29 delle 40 persone – 28 ospiti e 12 dipendenti – rimaste intrappolate nell’albergo. E poi il direttore dell’hotel, Bruno di Tommaso, che è indagato anche per non aver previsto, nel Documento di valutazione del rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori della sua ditta, il rischio di essere colpiti da una slavina. Con loro sono stati iscritti sul registro degli indagati il dirigente delegato delle Opere pubbliche Paolo d’Incecco, il geometra comunale Enrico Colangeli e il responsabile della Viabilità provinciale Mauro di Blasio. I sei saranno presto interrogati dai pubblici ministeri, e il sindaco Lacchetta dovrà spiegare perché non abbia mai convocato la commissione valanghe.
Le 40 persone presenti all’hotel al momento della valanga del 18 gennaio scorso erano impossibilitate a lasciare la struttura perché l’unica strada, la provinciale numero 8, era inagibile, completamente sepolta dalla neve. E gli investigatori sostengono che, essendo la strada di competenza della Provincia di Pescara, quest’ultima avesse anche il dovere di assicurarsi che fosse agibile. E invece il 18 gennaio la turbina da neve predisposta per l’area non lavorava da quasi due settimane perché mancavano i pezzi di ricambio. I magistrati sostengono che, viste le circostanze, il sindaco avrebbe dovuto far evacuare l’hotel con un’ordinanza di sgombero “per pericolo incombente” prima del 18 gennaio. Lacchetta per gli inquirenti è anche responsabile per non aver controllato il bollettino Meteomont (che segnalavano un livello quattro su cinque di rischio valanghe), come invece richiesto da lui in situazioni di allarme.
Per i pm ci sono state gravissime mancanze: non c’è stata l’attuazione dei piani valanghe, specie nel luogo dove sorgeva l’hotel, che uno studio del Forum H2O ha dimostrato essere stato costruito sui conoidi – ossia sui sedimenti storici – di vecchie valanghe. Ed è mancato anche l’aggiornamento dei piani di emergenza, la “previsione, prevenzione e gestione dei rischi connessi anche all’attività aziendale (esercizio di struttura ricettivo alberghiera in zona di alta montagna a rischio isolamento per eventi atmosferici e valanghivi)”. In tutta la vicenda gli indagati si sono comportati con “negligenza, imprudenza e imperizia“.