Eternit è nato come un processo per disastro, omissione di cautele antinfortunistiche, omicidio. E ha dovuto fare i conti con migliaia e migliaia di morti, cosa che non era mai successa in nessun altro processo. Per ciascun morto, doverosamente, si è proceduto a consulenze e accertamenti spesso assai complessi. Ecco perché, mentre il processo per disastro e omissione di cautele è stato mandato avanti fin dal 2009, si è dovuto aspettare il 23 febbraio 2015 per chiedere il rinvio a giudizio per l’omicidio.
Il 19 novembre 2014, la Sezione prima della Cassazione ha annullato la condanna pronunciata il 3 giugno 2013 dalla Corte d’Appello di Torino, stabilendo che il reato di disastro si era estinto per prescrizione. Fu una sorpresa. L’alternativa era fra due opzioni. Configurare il delitto di disastro ambientale come reato di pericolo cessato con la chiusura delle fabbriche (1986), ancorando a questo fatto la prescrizione. Oppure definire la fattispecie come reato a consumazione prolungata o permanente, considerato che anche dopo la chiusura delle fabbriche permangono gli effetti mortali dell’amianto in esse prodotto, tant’è vero che tali effetti si registrano ancora oggi e continueranno a prodursi in futuro. In precedenza la Cassazione, ad esempio nel caso di Porto Marghera, aveva detto che il disastro può essere un fatto che si esaurisce in un arco di tempo assai ristretto (ad esempio un crollo), ma può anche realizzarsi in un arco di tempo molto prolungato. E dunque i giudici (sia del Tribunale sia della Corte d’appello di Torino) che si erano occupati dell’Eternit ne avevano dedotto che nel caso di specie si trattava di un disastro a consumazione prolungata o permanente.
Il contrario avviso espresso dalla Cassazione chiamata ad occuparsi di Eternit ha suscitato molte polemiche, basate sulla sensazione che la decisione sia rimasta chiusa esclusivamente nel perimetro delle “carte”, considerate asetticamente e soppesate con criteri burocratico–formalistici. Senza poter percepire e tenere in conto anche la realtà concreta di vite spezzate o rovinate, di sofferenza e dolore che segna e caratterizza il caso Eternit. Al punto che Vladimiro Zagrebelsky ebbe a scrivere che alla Cassazione è “mancata la capacità di affermare un diritto che non oltraggia la giustizia… e ne soffrirà la fiducia dei cittadini nella legge”.
Sarebbe però sbagliato perdersi d’animo. A maggior ragione dopo che, il 31 maggio 2016, la Corte Costituzionale ha escluso che il processo per disastro possa precludere il processo per omicidio. E infatti il 29 novembre 2016 il Gup del Tribunale di Torino ha disposto il rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Torino per alcune vittime, mentre per altre gli atti sono stati trasmessi per competenza territoriale ai Pubblici Ministeri dei Tribunali di Vercelli, Reggio Emilia e Napoli.
Dunque, salvo ulteriori “sorprese”, si avrà non un processo, ma quattro processi. Appare destinato ad assumere un peso dominante quello di Vercelli, per l’alto numero dei morti di Casale Monferrato.
La partita (e mi scuso per la parola inadeguata rispetto alla tragedia) è dunque ancora tutta da giocare. In ogni caso, l’Italia continua ad essere l’unico Paese al mondo in cui si fa il processo Eternit.