Il 22 luglio dello scorso anno Felix Croft, un ragazzo francese di 27 anni, partendo da Ventimiglia tentava di attraversare il confine con la Francia. A bordo della sua auto aveva preso con sé una famiglia proveniente dal Darfur, la provincia sudanese massacrata da un conflitto feroce e sanguinario da così tanto tempo che sembra essere eterno. Nella macchina di Felix c’erano padre e madre, zio, bimbo di cinque anni e bimba di due. La madre era al sesto mese di gravidanza. Il bambino aveva il corpo coperto di cicatrici: se le era procurate prima di scappare dal suo Paese, quando la loro casa era andata a fuoco per l’incendio appiccato dalle truppe del governo.

Dormivano accampati in una parrocchia di Ventimiglia. In pochi giorni avrebbero dovuto lasciare anche quel tetto di fortuna. Felix Croft si è fatto carico di cinque vite umane e una nascente. Voleva portare la famiglia a casa sua in Francia, fornire cibo ai suoi ospiti e permettere loro un po’ di riposo. Per questo è stato denunciato. E sempre per questo, il pubblico ministero ha chiesto per lui tre anni e quattro mesi di galera più 50mila euro di multa.

Dopo mesi con il fiato sospeso, il 27 aprile c’è stata la sentenza: Felix Croft è stato assolto. Il collegio giudicante, con la sua presidente Donatella Aschero, ha stabilito che il fatto non costituisce reato. Una motivazione che ha stupito lo stesso Croft che in questi mesi ha sempre rivendicato il proprio gesto rispondendo, a quanti glielo chiedevano, che sì, sapeva di aver commesso il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

A essere invocato in questa sentenza – una sentenza che restituisce un po’ di speranza nei tempi cupi che stiamo vivendo – è il secondo comma dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione, secondo il quale “non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato”. All’uscita dal tribunale della città di Imperia, Croft ha affermato: “Questa è una pietra miliare per chi si sente impotente e stritolato dalle leggi in questo periodo di immense sofferenze. Questa sentenza dice alle persone di non avere paura della loro solidarietà. Se lo Stato è assente le persone devono agire perché la loro umanità è la base sulla quale si fondano le società“.

Purtroppo gli attacchi a chi non vuole rinunciare alla solidarietà arrivano da ogni parte. Chiunque oggi creda nell’umanità e nella dignità dell’uomo deve resistervi. Dobbiamo resistere alle ordinanze dei sindaci che vietano di offrire cibo ai migranti. “Dare da mangiare agli affamati” è una frase difficile da dimenticare. Si vede che il sindaco Pd di Ventimiglia Enrico Ioculano, firmatario dell’ordinanza, ha la memoria corta. Oggi quel testo è stato ritirato, ma non prima che tre volontari francesi finissero sotto processo per aver dato dei panini ai migranti fermi alla frontiera. Non è probabilmente estraneo alla decisione di ritirare l’ordinanza l’annuncio della manifestazione che si terrà il 30 aprile proprio a Ventimiglia per protestare contro questa assurda incriminazione e per ricordare che “non è questa la strada indicata nella storia della parte migliore dell’umanità” e che “è necessaria una campagna per la solidarietà, contro l’esclusione e l’intolleranza”, come si legge nell’appello promosso per l’occasione da Don Luigi Ciotti, Livio Pepino e molti altri protagonisti della società civile.

Oggi a essere attaccate sono le Organizzazioni non governative che ogni giorno stanno in mare a salvare vite umane. Persone che stanno usando la propria esistenza per tentare di arginare quella che è una tragedia di dimensioni epocali e per la quale la storia giudicherà le azioni del nostro tempo. Screditare il loro lavoro senza in mano prove certissime è estremamente grave. Non commento l’operato di politici che per un pugno di voti dicono frasi che offendono la dignità dei troppi corpi umani che abbiamo ritrovato a galleggiare nel Mediterraneo. Ci auguriamo invece che al Consiglio superiore della magistratura sia data la possibilità di valutare l’operato del procuratore di Catania.

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