“Paperino muoviti!”. Ma il pappagallo verde resta immobile, aggrappato allo scaffale dove sta da trent’anni, sempre accanto allo sgabello di Davide Fabbri, il tabaccaio di Budrio ucciso il primo aprile. Chissà se l’uccello in qualche modo capisce che il suo amico è morto, come il gatto che veglia l’appartamento della padrona morta della poesia di Wislawa Szymborska. Davide non tornerà, come Valerio Verri, la guardia ecologica volontaria ammazzata pochi giorni dopo: è l’unica cosa certa, finora, nella grande caccia all’assassino nelle campagne tra Bologna e Ferrara. L’epilogo dopo ventisei giorni è tutto da scrivere: l’omicida è sempre lì? Sarà catturato? E si arrenderà o sarà pronto a tutto pur di non finire in galera?
“Meglio essere pronti ad affrontare l’ipotesi peggiore. Abbiamo presidiato i luoghi sensibili… le scuole, i locali pubblici”, dice allacciandosi il corpetto antiproiettile un cacciatore di Calabria, le forze speciali dei carabinieri. Ottocento uomini si danno il turno ogni giorno per battere palmo a palmo i venti chilometri quadrati dove forse si nasconde Igor. Ma già quel pasticcio sul nome, nei primi giorni, faceva capire che questa era una caccia particolare: Igor il russo, reduce delle famigerate truppe siberiane; anzi, no, Ezechiele. Infine Norbert Feher, un serbo con precedenti per rapine e tentate violenze sessuali.
“Il punto è che non abbiamo di fronte un “professionista”, ma un criminale di serie C. Uno che fino a pochi mesi fa girava per le campagne, dormiva nei ruderi e rubava il gasolio ai trattori. Che faceva colpetti da 200 euro”. Così lo descrive Marco Forte, il pm bolognese che ormai tra Budrio e Molinella ci passa venti ore al giorno. Aggiunge: “Un tipo che all’improvviso è passato dalla balestra con frecce alle pistole. Anche se Igor non è uno che ammazza per piacere, ha sparato – per quanto ne sappiamo noi – soltanto quando si è trovato intrappolato. Quando Fabbri in pratica lo stava arrestando, e quando le guardie venatorie l’hanno beccato”. Da ladro da quattro soldi a uomo più ricercato d’Italia (alla pari con Matteo Messina Denaro, se volete). Ecco il guaio: è più difficile prevedere le mosse di un dilettante braccato da quasi mille uomini.
Per questo le indagini hanno preso due direzioni: la perlustrazione continua, giorno e notte, dei canali tra Ferrara e Bologna. Intanto con le intercettazioni, con ogni altro mezzo si sta seguendo la ragnatela di Igor. Perché l’assassino di Budrio ha mille nomi, è un trasformista, è un cane sciolto. Tutto quello che volete. Ma ha due cose che lo rendono simile a ogni uomo: gli amici che ha frequentato fino alla fine di marzo. E soprattutto una donna. Igor ha avuto delle compagne, una in particolare. Ma come far arrivare il cibo – perché questo il problema – a Igor? Difficile, in mezzo a centinaia di carabinieri, con posti di blocco a ogni incrocio, e poi droni ed elicotteri in cielo. A meno che non ci si confonda con le persone che ogni giorno si muovono intorno ai canali, in mezzo alla vegetazione alta due metri. Sono i pescatori, quelle decine di immigrati dell’Est che piantano le loro canne sugli argini. “Basterebbe lasciare un sacco in terra, in un posto convenuto. E Igor di notte potrebbe passarlo a prendere”, allarga le braccia Mauro Calzolari che abita in una casa isolata lungo il canale della Botte. Una specie di isola, dove di notte è solo buio. E non è proprio un bel vivere in queste settimane. Calzolari ti accompagna nel suo terreno e ti mostra perché: “Guardi”, dice indicando un passaggio minimo, invisibile, in mezzo alla canne. Proprio accanto alla strada. Sposti la vegetazione e trovi uno spazio minuscolo. “Una tana”, ma di uomo. Uno spazio minimo: foglie di palma per dormirci sopra, canne fittissime per essere invisibile, e una via di fuga verso il canale. Qui ha dormito Igor nei giorni di Pasqua, l’hanno confermato Gandolf e Druido, i cani molecolari. Due bloodhound, cacciatori di sangue, certificati dall’Fbi. Appena hanno messo il naso lì dentro hanno abbaiato come pazzi. Poi, due giorni dopo, a poche decine di metri di distanza, sempre nel terreno di Calzolari, ecco un altro rifugio. Una semplice catasta di legna.
“Chissà quante volte mi ha visto passare quel maledetto…!, spalanca gli occhi Calzolari. E il brivido scende sulla schiena di tutti: potrebbe vedere anche noi. Proprio adesso. Già, in tanti cominciano a sentirsi addosso gli occhi – e le pistole con quaranta colpi – di Igor. Te ne accorgi da come si comporta la gente che, pure, con grande dignità, cerca di non farsi piegare. In questa terra di grandi spazi, i carabinieri ti seguono con lo sguardo appena ti incammini nei campi, tra botton d’oro e papaveri a perdita d’occhio. Poi ecco Marina e Marco che vanno a correre sugli argini dell’Idice. Lui ingegnere, lei estetista, prima si incrociavano quando capitava. Adesso hanno deciso di correre insieme per non restare soli. Poi un piccolo gruppo di case in piena zona rossa, lungo una sterrata che parte da via del Fiume Vecchio e si perde tra campi e vegetazione: “Siamo sei famiglie. Se succede qualcosa ai vicini ce ne accorgiamo, ci teniamo d’occhio”, scrolla le spalle Davide Lodico. Ma a camminare al tramonto lungo il canale non ci va più. “Io ogni sera prima di andare a letto telefono ai vicini, così, per fare un controllo. Per farci compagnia”, racconta Attilio Mazzotti. Poco più in là una di quelle villette padronali di fine Ottocento, con le facciate color ocra. Gli scuri amaranto sono sprangati. I proprietari sono andati in paese dai parenti.
Anche da queste parti Igor aveva una “tana”. Non è un nome casuale, per quest’uomo che vive come le bestie, e come gli animali della palude qui ha trovato un habitat perfetto: centinaia di casolari diroccati, case lasciate deserte, villette isolate, poi magazzini per gli attrezzi, capanni. E i canali con i minuscoli locali delle chiuse, gli isolotti. “Igor in questi anni passati tra i canali forse ha preparato decine di rifugi”, sospira il pm Forte. Gli ultimi li hanno scovati due giorni fa: qualche lattina, una scatoletta di cibo. “Al novanta per cento Igor è ancora qui”, dicono i carabinieri. Qualcuno teme che sia un modo per scongiurare lo smacco della fuga, dopo una caccia all’uomo costata molti milioni di euro. Non si contano più le segnalazioni di cittadini che hanno visto Igor in mezza Italia: dal treno per Rovigo, alla piazza davanti al caffè Pedrocchi in centro a Padova, ma anche a Modena, perfino in Val d’Aosta. Nessuno all’inizio pensava che sarebbe stata così dura. In tanti erano corsi a Bologna e Budrio. Avevano rilasciato dichiarazioni. Dal ministro dell’Interno Marco Minniti, al comandante generale dei Carabinieri, Tullio Del Sette. Dal Caffè Mexico – nome esotico per un bar della Bassa affacciato sulla strada – qualche avventore guarda sfrecciare i mezzi dei carabinieri, “mentre quelli della polizia sono spesso fermi in paese. Sta a vedere che non riescono a mettersi d’accordo sulle indagini!”. Catturare Igor sarebbe un colpaccio. Ma lasciarselo sfuggire… meglio non pensarci.
“Igor è qui”, batte l’indice sul tavolo un ufficiale dei carabinieri, “Dopo aver ucciso Fabbri ha rubato un Fiorino, ha avuto molte ore di vantaggio. Poteva scappare ovunque… e invece è rimasto in zona. Vuol dire che non ha alternative”. Nascosto come un topo, senza telefonino per non essere individuato (il vecchio cellulare, usato solo per collegarsi a internet, è sparito). Igor prigioniero in questa terra di canali, canne, liane, argini che spezzano lo sguardo. Ma prigionieri sembrano anche gli abitanti, e perfino i cacciatori. Il destino di tutti legato a quello di un uomo invisibile che qualcuno dice “già morto, forse suicida”, mentre c’è chi si chiede “se esista davvero”. “Igor era in vantaggio di due giorni. Ora gli siamo dietro di ventiquattro ore. Appena sbaglia lo prendiamo”, è sicuro un investigatore.
L’unica cosa certa è che al Bar Gallo di Budrio, Davide non tornerà più. I primi giorni era tutto un andirivieni di cronisti, telecamere, autorità. Ieri era rimasta la moglie Maria. Dietro a lei sullo scaffale la foto del marito, le bottiglie di amaro Jegermeister e Averna che sembrano uscite da un mondo passato. Come i due anziani che leggono il giornale: “Et vest? Maré e muier massacré”, parlano di un altro delitto. Il pappagallo è ancora aggrappato accanto allo sgabello di Davide.