Un mese e mezzo fa lo avevano approvato in Senato con il voto di fiducia. Adesso che è tornato alla Camera per l’approvazione definitiva, invece, puntano – di nuovo – a modificarne alcuni degli aspetti chiave. Il motivo? Vogliono che i reati di corruzione si prescrivano prima. E per farlo depositano una serie di emendamenti firmati da un deputato che è finito in un’inchiesta proprio per corruzione. Hanno scelto la vigilia del ponte del primo maggio gli alfaniani per tornare ad occuparsi del Ddl Penale. Approvata da Palazzo Madama il 15 marzo scorso dopo che il governo aveva deciso di porre il voto di fiducia, adesso la riforma del processo penale è tornata all’esame della commissione giustizia di Montecitorio. Ed è lì che è finita sommersa dai nuovi emendamenti di Area Popolare.

Il nodo è sempre lo stesso: l’allungamento della prescrizione, che già aveva fatto impantanare la riforma al Senato per quasi due anni. C’era voluta tutta la volontà dell’esecutivo per fare uscire a colpi di fiducia il ddl da Palazzo Madama. E già in quel caso i parlamentari di Angelino Alfano – per bocca del ministro Enrico Costa – avevano annunciato che “alla Camera il testo avrebbe avuto bisogno di ulteriori miglioramenti sul tema della prescrizione”. Detto fatto: a Montecitorio, infatti, ecco arrivare nuovi emendamenti sul disegno di legge che riforma il processo penale. Modifiche che puntano all’aumento al massimo di un terzo, e non della metà, del tempo in cui si prescrivono i reati di corruzione per esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, corruzione in atti giudiziari, corruzione di persona incaricata di pubblico servizio, induzione indebita a dare o promettere utilità, peculato, concussione.

Si tratterebbe di uno sconto dato che attualmente il testo base del ddl prevede che l’interruzione della prescrizione comporti l’aumento della metà del tempo normalmente necessario a dichiarare prescritto il reato. In pratica gli alfaniani puntano a una prescrizione light per quelli che sono notoriamente i reati commessi dai colletti bianchi. “Con questi emendamenti – dice sempre Costa – puntiamo ad evitare che i fascicoli processuali restino nel cassetto. La prescrizione è sempre una sconfitta per lo Stato, ma bisogna fare in modo che un allungamento eccessivo non si traduca in una dilatazione estrema dei tempi dei processi”. Lo scopo – come ha calcolato l’agenzia Ansa – è far sì che il tempo in cui si prescrivono gli illeciti arrivi massimo a 16-18 anni, e non a 20-21 anni. Ma non solo.

Perché il bello è che gli emendamenti depositati da Ap – sempre secondo quanto riporta l’Ansa – sono a firma del deputato Antonio Marotta, che per corruzione è stato anche indagato prima che il giudice delle indagini preliminari riqualificasse il reato di cui era accusato. Nell’estate del 2016, infatti, Marotta era stato coinvolto nell’inchiesta anticorruzione della procura di Roma su Giuseppe Pizza, l’ex sottosegretario del governo Berlusconi famoso perché rivendicava l’uso dello storico simbolo della Dc. I pm avevano indagato il deputato alfaniano per partecipazione ad associazione a delinquere, corruzione, finanziamento illecito dei partiti e riciclaggio, chiedendone l’arresto. Richiesta bocciata dal gip Maria Giuseppina Guglielmi, che non ha ritenuto sussistente l’ipotesi di associazione per delinquere, riqualificando il reato di corruzione in traffico di influenza illecita, e quello di riciclaggio in ricettazione.

Alla luce delle considerazioni del gip, quindi, i fatti contestati a Marotta prevedevano una pena non superiore ai tre anni per la quale non è previsto l’arresto in sede di indagini preliminari. Secondo quanto risulta al fattoquotidiano.it l’indagine sul deputato alfaniano – accusato di aver aiutato nelle attività di illecita intermediazione il fratello di Pizza, indagato principale dell’inchiesta – è ancora aperta. Nel frattempo, però, Marotta può tranquillamente avanzare le sue proposte per modificare le leggi che regolano l’intero processo penale italiano. E quindi anche il suo, nel caso di un eventuale rinvio a giudizio.

Tra gli emendamenti depositati dal deputato di Ap, tra l’altro, alcuni prevedono anche l’obbligo di chiudere i processi arrivando a sentenza nell’arco di un anno e mezzo: in caso contrario la sospensione della prescrizione non ha effetto. Il testo della norma scritta da Marotta prevede che la sospensione del decorso della prescrizione “non opera nel caso in cui il giudizio di appello non si concluda nel termine di un anno e sei mesi“. Stesso termine è previsto per il giudizio di Cassazione. Gli emendamenti prevedono inoltre che la prescrizione riprenda a decorrere dal giorno in cui cessa la causa che ha determinato la sospensione: in sostanza, se la sentenza non viene depositata nei termini fissati, “l’interno periodo di sospensione trascorso è computato ai fini della prescrizione”. Gli alfaniani, per la verità, hanno presentato emendamenti anche più restrittivi che puntano a sostituire il periodo di un anno e sei mesi per la durata del processo con la formula “per il tempo strettamente necessario alla celebrazione del giudizio”. Un’impostazione che per gli esponenti del partito di Alfano è vista come “un buon punto di mediazione”. Insomma su questo punto si potrà discutere: sulla prescrizione, probabilmente, meno.

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