Oltre al danno, la beffa: Sulley Muntari è stato squalificato per una giornata dal giudice sportivo. La sua colpa? Essersi rifiutato di subire i cori razzisti dei tifosi del Cagliari, chiedendo all’arbitro la sospensione della partita e quindi uscendo dal terreno prima della fine del match in segno di protesta. Il centrocampista ghanese del Pescara chiedeva giustizia, anzi solo l’applicazione del regolamento che prevede la possibilità di interrompere il gioco in caso di episodi razzisti. Invece sul campo si è beccato l’ammonizione per proteste, negli spogliatoi gli è stata comunicata anche l’espulsione per comportamento non regolamentare: abbandonare il campo senza permesso non è consentito. E ora inesorabile è arrivata pure la squalifica, nonostante le raccomandazioni della Uefa che in casi analoghi invita al buon senso e la solidarietà ricevuta addirittura dall’Alto Commissario per i diritti umani. L’Onu lo celebra, il calcio italiano lo punisce.
Il comunicato del giudice sportivo per la 34esima giornata di Serie A era molto atteso soprattutto per conoscere la sanzione contro Kevin Strootman, protagonista di una clamorosa simulazione nel derby Roma-Lazio: l’olandese è stato punito con due turni (salterà dunque il big match contro la Juventus) per aver ingannato l’arbitro Orsato col suo tuffo. Un provvedimento in linea con i precedenti (Adriano, Krasic, ecc.), che non fa una grinza. Molto più discutere farà invece la squalifica di Muntari. Chissà cos’avrà pensato il centrocampista del Pescara, leggendo il suo nome nella lista degli squalificati per il prossimo turno. Come se non bastasse l’ingiustizia subita domenica a Cagliari, quando era stato preso di mira dai cori razzisti di alcuni tifosi avversari. E l’arbitro Minelli aveva preferito soprassedere, forse per non aver sentito bene gli ululati provenienti dalla curva, o magari semplicemente perché non valeva la pena prendersi la briga di sospendere la gara a pochi minuti dalla fine, in un match fra due squadre che non hanno più nulla da chiedere al campionato. Ma per Muntari era una questione di principio: “Ho insistito dicendogli che doveva avere il coraggio di fermare la partita. L’arbitro non serve solo a stare in campo e fischiare”, ha spiegato alla fine dell’incontro, dopo aver lasciato il terreno di gioco.
Proprio questo suo gesto di protesta è alla base della squalifica: il regolamento (in particolare comma 35 della regola 12) prevede che l’abbandono del terreno di gioco viene “considerato come un’espulsione”. Anche Zeman, l’allenatore del Pescara, pur prendendo le parti del suo calciatore, aveva precisato che “non dobbiamo farci giustizia da soli”. Ma stavolta la situazione era davvero particolare, se pensiamo che il caso è finito sulle pagine di tutti i giornali internazionali ed è stato citato addirittura dall’Alto Commissario per i diritti umani, Zeid Ra’ad al-Hussein, che ha definito il gesto di Muntari “un’ispirazione per tutti noi nella lotta al razzismo”. Nello stesso provvedimento, tra l’altro, viene assolta la società Cagliari, che non verrà sanzionata con multe o partite a porte chiuse: i cori razzisti ci sono stati, certo, ma erano pochi e irrilevanti. Si sono sentiti nell’impianto soltanto perché in quei momenti era in atto una “protesta silenziosa degli altri tifosi”, che non hanno coperto le offese. Questa la spiegazione tecnica del giudice sportivo, Gerardo Mastrandrea. Anche perché i rappresentanti della Procura sono in grado di quantificare i sostenitori autori delle offese: “Solo dieci”, meno dell’1% degli occupanti del settore da cui scatta la “percezione reale” necessaria a punire tali comportamenti. Insomma, si può essere razzisti se lo si fa con discrezione. Il Cagliari non paga, dunque. L’arbitro Minelli nemmeno, perché a termine di regolamento non sta a lui, ma al responsabile dell’ordine pubblico dello stadio designato dal Ministero. Di questo ufficiale non abbiamo notizie. Così l’unico a pagare, alla fine, è la vittima. Alla faccia della giustizia (sportiva).