Il giudizio dell’ex procuratore di Milano ed ex presidente dell’Anm, Edmondo Bruti Liberati, sulle dichiarazioni del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, su ong e migranti, è stato particolarmente sferzante: “«Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi». Lo può dire Pasolini, che subito aggiunge «io so perché sono un intellettuale, uno scrittore». Non lo può dire un procuratore: la procura, acquisita una notizia di reato, deve indagare per accertare fatti specifici e responsabilità individuali, con il livello di prova elevato che si esige per una condanna, nel pieno rispetto delle garanzie di difesa. Non è accettabile che si faccia intendere di avere raggiunto «certezze» su un fenomeno criminale sulla base di fonti non utilizzabili. Zuccaro non doveva parlare così (…) Giustamente si critica chi utilizza una informazione di garanzia già come condanna anticipata. In questo caso, sembra di capire, non vi è neppure, al momento, un fascicolo a carico di noti o di ignoti, ed è proprio il Procuratore ad anticipare giudizi”. Nell’intervista, rilasciata a Repubblica, l’ex magistrato sottolinea che “è doveroso trasmettere alle autorità competenti preoccupazioni e sospetti, che potranno essere sviluppati anche con gli strumenti dell’intelligence a disposizione dell’esecutivo. Ma il pubblico ministero non può chiedere un atto di fede. Le regole del processo penale non possono essere mai cortocircuitate”.

Ritengo si tratti di un giudizio inaccettabile sia nella forma sia nella sostanza. È innegabile che “la procura, acquisita una notizia di reato, deve indagare per accertare fatti specifici e responsabilità individuali, con il livello di prova elevato che si esige per una condanna, nel pieno rispetto delle garanzie di difesa”. Ma un giurista, in quanto tale professionalmente immerso in un mondo, quello del diritto, popolato per sua natura di “parole” esprimenti concetti indispensabili per predicare il valore dei fatti, non deve confondere quel “fatto specifico” che è il reato di traffico di migranti, a fronte della cui notizia soltanto insorge il dovere del pubblico ministero di attivare indagini per accertarne sussistenza e autore, con il “fenomeno” migratorio, di cui quel reato costituisce al più solamente uno dei molteplici aspetti. Né si può rimproverare al procuratore Zuccaro di aver “anticipa(to) giudizi”, allorché “non vi (sarebbe) neppure, al momento, un fascicolo a carico di noti o di ignoti”. Un tale ragionamento sembra, infatti, prescindere sia dal contesto sia dagli scopi delle dichiarazioni del procuratore catanese.

Le ragioni dell’audizione dottor Zuccaro sono esplicitate, nel Resoconto stenografico della Seduta n. 41 di Mercoledì 22 marzo 2017, del Comitato parlamentare di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, dal presidente, onorevole Laura Ravetto: “Vorremmo affrontare con lei questa possibile ipotesi (…) di collaborazione eccessiva tra alcune organizzazioni non governative rispetto ai trafficanti di migranti. Si tratta di accuse che sarebbero state già prospettate in due rapporti interni di Frontex (…) con riferimento a fenomeni tra alcune ong e trafficanti sulle  rotte migratorie dalla Libia all’Italia”. Ed è proprio a questo riguardo che l’audito, dopo aver chiarito che il suo ufficio, “per poter incidere più efficacemente a livello giudiziario” sulle eventuali patologie del fenomeno migratorio, ha ritenuto necessario occuparsi di coloro che organizzano il traffico di migranti e che da esso traggono gli utili più rilevanti.

In particolare, il magistrato ha spiegato come allo scopo la procura di Catania abbia attuato, attraverso un “gruppo” di lavoro costituito al proprio interno, un puntuale monitoraggio del “fenomeno” migratorio. Monitoraggio grazie al quale oggi si sa che, a partire dal settembre-ottobre del 2016, vi è stato “un improvviso proliferare di unità navali” delle ong, “che hanno fatto il lavoro che prima gli organizzatori svolgevano, cioè quello di accompagnare fino al nostro territorio i barconi dei migranti”; che queste unità navali a volte operano all’interno del territorio libico e, in ogni caso, quasi sempre operano in acque internazionali, proprio nell’immediato confine del territorio libico stesso; che circa il 30 e talvolta anche il 50 per cento dei salvataggi i cui migranti siano poi approdati nel distretto catanese è da riferire a salvataggi effettuati dalle ong; che, ciò nonostante, i morti in mare nel corso del 2016 e del 2017 hanno raggiunto un numero elevatissimo, sino a 5000 unità, che non accenna a diminuire; che i barconi su cui questi migranti vengono fatti salire sono sempre più inadeguati al loro scopo, come sempre più inidonee sono le persone che si pongono alla guida di essi; che, finalmente, l’attività delle ong ha fatto venir meno l’esigenza dei cosiddetti “facilitatori”, cioè delle imbarcazioni che accompagnavano nei primi tratti delle acque internazionali questi barconi di migranti, con la conseguenza che, a livello giudiziario, non si riesce più ad arrivare neanche a questo livello medio basso dell’organizzazione del traffico.

Insomma, con buona pace del dottor Bruti Liberati, il procuratore Zuccaro ha enunciato senz’altro “fatti specifici” che, non costituendo reato, sono legittimamente accertabili, e in concreto sono stati accertati con la libertà dello storico e non secondo i rigidi protocolli penal-processuali. “Fatti”, dunque, di cui tener conto in sede di elaborazione di un’efficace strategia di contrasto giudiziario alle devianze nello svolgersi del “fenomeno” migratorio. Del resto, almeno a questo livello, esigenze e metodi conoscitivi del procuratore della Repubblica non sono diversi da quelli dell’intellettuale di pasoliniana memoria: egli deve cercare di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace, di coordinare fatti anche lontani, di rimettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro fattuale, di ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. E in questa prospettiva, non soltanto può, ma deve chiedersi, frigido pacatoque animo, perché mai, di fronte alle coste libiche vi sia “un proliferare così intenso di (…) unità navali” dispiegate dalle ong e, soprattutto, come si possano “affrontare costi così elevati senza disporre di un ritorno in termini di profitto economico”.

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