Cultura

Arrigo Cipriani racconta il “suo” Harry’s Bar: “Chef in tv? Uno dei nostri ci è andato e l’abbiamo licenziato. Il mio sogno? Essere il 90enne più veloce del mondo”

Da poco con Giunti è uscito Harry's Bar Venezia, fra storie e ricette del celeberrimo locale di Calle Vallaresso 1323 a Venezia, dietro piazza San Marco. Il libro è dedicato al fondatore, il padre Giuseppe, e si apre con il suo funerale buffo: "La morte di mio padre fu una cosa semplice. Mi disse: “Guarda, non voglio morire ma muoio”. Prendeva la vita così". ha raccontato Arrigo a FQMagazine. E sulla ristorazione di oggi: "Grazie a questi stellati, sta andando in un luogo senza anima. I loro piatti vogliono solo mostrare la bravura di chi li ha fatti. Non c’è anima. Bottura mi risulta pesante"

Arrigo Cipriani, 85enne patron dell’Harry’s Bar, è il re della ristorazione e dei barman. Il suo regno si estende dall’America dove ha 12 locali, compresi due alberghi, a Hong Kong, a Dubai, a Londra, a Montecarlo e Venezia. Sta aprendo un nuovo locale in Arabia Saudita. Poi un pastificio, un caseificio e una coltivazione di carciofi “violetto” nell’Isola di Torcello. Dietro il brand Cipriani lavorano altre 2000 collaboratori. Un fatturato previsto di oltre 200 milioni. Tutto comincia nel 1931 a Venezia. Suo padre Giuseppe apre il mitico Harry’s con i soldi di un amico americano, Harry Pickering, che aveva aiutato in un momento di difficoltà. La storia è arcinota. Arrigo la racconta nel libro Prigioniero di una stanza a Venezia edito da Feltrinelli che a ottobre 2016 ha pubblicato la quinta ristampa. Da poco con Giunti è uscito Harry’s Bar Venezia fra storie e ricette del celeberrimo locale di Calle Vallaresso 1323 a Venezia, dietro piazza San Marco. Il libro è dedicato al fondatore, suo padre Giuseppe, e si apre con il suo funerale buffo, quasi a volersi prender gioco della morte e della vita e a non voler prendere nulla sul serio. Siamo nella sala a piano terra dell’Harry’s Bar, dal 2001 notificato dal Ministero dei Beni Culturali come luogo di interesse nazionale per la sua testimonianza del Ventesimo secolo a Venezia. Unico esercizio pubblico con questo riconoscimento negli ultimi cento anni: “Io sono qui da oltre 60 anni e questo arredo non si può più cambiare. Mi considero a mia volta una parte dell’arredamento. Questo è il motivo principale, il segreto, della mia longevità”.

Arrigo, qual è il consiglio di suo padre che ha seguito maggiormente?
Tutto. Lui era un genio. Un genio di questo mestiere. Le sedie su cui siamo seduti le ha disegnate lui. Noi Cipriani in tutto il mondo siamo mio padre. Abbiamo portato avanti la sua eredità. Con una sola differenza: lui diceva che io non avevo mai voglia di fare un nuovo ristorante. Aveva ragione, io facevo mille cose. Scrivevo, praticavo karate. Andavo a pesca. Facevo un solo giorno di festa a settimana e lui mi diceva: “Pensi troppo alla pesca”. Quando avevamo l’hotel Cipriani chiudevamo tre giorni l’anno e un giorno il direttore gli ha chiesto se poteva fare festa un giorno a settimana. Mio padre: “Perché?”

Un uomo tutto d’un pezzo.
Mio padre era un uomo che ha invaso la mia vita. Poi ho seguito una voce che mi diceva sempre: “La vita non è una cosa seria”.

Ha scritto che siamo inevitabilmente destinati a cadere e che quindi bisogna sorridere alla vita. Qual è stata la caduta più dolorosa?
Ce ne sono state più di una. Ci sono stati momenti molto difficili, soprattutto sotto il profilo finanziario. Tipo una multa di 11 milioni di sterline per un nostro ristorante di Londra. Che avevamo chiamato “Cipriani”: un nome che l’Hotel Cipriani ha rivendicato. Una disputa di marchi, insomma. E’ stato un periodo molto difficile. Poi una sanzione in America di 10 milioni di dollari per una cosa che non avevamo mai fatto.

Solo questioni finanziarie. Non la morte di suo padre?
No, la morte di mio padre fu una cosa semplice. Mi disse: “Guarda, non voglio morire ma muoio”. Prendeva la vita così.

Ha 85 anni. Vuole diventare il più vecchio esercente del mondo. Ora il capo è suo figlio Giuseppe. Che consiglio gli ha dato?
Lui ha seguito tutti gli insegnamenti del nonno che io gli ho trasmesso, così la tradizione continua – abbiamo anche tre nipoti che stanno lavorando con noi. Ma Giuseppe ha sempre fatto di testa sua sullo sviluppo di nuovi locali. A me sembravano cose troppo grandi, cercavo di frenarlo, ma lui è andato avanti lo stesso. Alla fine ha avuto ragione. Come quando comprò la sala della 42esima da mille persone a New York. Poi la seconda, Wall Street, che è un’altra sala da 1000 persone. Mi sembrava tutto enorme, gigantesco e invece aveva ragione.

Ha vinto il premio “Fuori classe 2016” per il pensiero divergente. Perché l’hanno premiata? Con quali motivazioni?
Non ricordo, erano piuttosto lunghe. Sostanzialmente perché sono un anticonformista. Soprattutto in questo momento in cui tutto sta perdendo di anima.

In che senso?
Io sono un grande assertore dell’anima. Non credo in Dio ma nell’anima sì. Credo nell’anima delle cose. Un oggetto è di lusso perché ha contribuito a crearlo il pensiero dell’uomo. Questo oggetto ha l’anima. Questo ristorante ha un’anima.

Dove sta andando la ristorazione?
Grazie a questi stellati, sta andando in un luogo senza anima. I loro piatti vogliono solo mostrare la bravura di chi li ha fatti. Non c’è anima.

Possibile che non ci sia nessuno che le piace fra gli stellati?
Nessuno.

Chi la fa più incazzare?
Incazzare nessuno, però Massimo Bottura mi risulta piuttosto pesante.

Ora è sceso in classifica. Bottura è il secondo chef più grande del mondo secondo il World’s Best Restaurant Awards. E’ stato premiato in uno dei suoi locali a New York.
Sì, in una delle nostre sale di New York a Wall Street. E’ arrivato secondo e subito hanno fatto il triumvirato. Prima valeva solo il primo della classifica perché lui era il primo. Ora sono sempre i primi tre chef i più grandi, perché lui è secondo. Quando sarà quarto diranno che il premio vale per i primi quattro. Faccio per ridere, ovviamente.

Arrigo, dia un consiglio divergente ai giovani.
Sai che insegno all’università a Ca’ Foscari, qui a Venezia. Ai miei ragazzi insegno la semplicità complessa. Ma il consiglio che do’ sempre è: ricordatevi della libertà. Io 85enne ho assistito alla fine di una dittatura, materialmente, e ho sentito questa esplosione della libertà. Il principio della libertà io l’ho seguito tutta la vita. Questi giovani non la conoscono ancora, non capiscono che tante cose intorno a loro sono imposizioni. Devono rivendicare la loro libertà. I giovani di oggi sono fantastici, sono bravissimi ma temo che non abbiano ancora capito questo meccanismo. La rivendicazione della libertà. Questa è la rivoluzione.

Una ricetta divergente agli chef.
Noi abbiamo 450 cuochi nei nostri locali nel mondo. Nessuno conosce il nome dei nostri cuochi. Eppure sono bravissimi. Anche ragazzi di poco più di vent’anni.

E non c’è una star, un masterchef?
No, uno è andato in televisione ed è stato licenziato.

Questa la racconti meglio. E’ andato in tv e ha abbandonato la cucina?
Avevamo un evento in una delle sale di New York con 500 persone. Arrivo e dico: dov’è lo chef? E’ in tv. Allora, via. Non può funzionare. Lo chef deve fare da mangiare bene, solo quello. Non devi andare a dire quanto sei bravo in tv. Così si perde il senso.

Ha scritto: il sesto giorno Dio creò il barman. Cosa rende grande un barman?
Una cosa scontata, la cultura. Gli pseudo-barman ci mettono un sacco di azione, di cinema. Cose che non servono. Il barman deve essere psicologo e conoscere autori di varie letterature mondiali. Deve essere umile. Deve avere cultura, insomma. Questo dobbiamo fare nel nostro mestiere. Esprimere la nostra cultura.

E cosa fa grande un bar?
Ovviamente il barman.

Un piccolo appunto su Venezia. Tutti si lamentano della decadenza e del turismo selvaggio.
I turisti sono così. Vengono al mattino, vanno via la sera, spesso senza motivazioni. Faccio un esempio. Mi sono messo a coltivare carciofi e mi sono accorto che un terreno incolto se lo calpesti va in malora. Appena vengono fuori le piantine entri con garbo e rispetto. Fuor di metafora le piantine sono i cittadini della città. Non ci sono, ed è per questo che Venezia viene calpestata, come se vi fossero solo pietre. Cosa li può frenare? La popolazione. Che è sempre più piccola, provincializzata e arrabbiata con tutti. Parlo di una popolazione che vive la città. Mancano i veneziani. Siamo circa 40 mila, di cui 35mila vecchi. Una volta eravamo 150 mila. La decadenza nasce da questo motivo.

A New York si chiama Harry Cipriani. Quand’è che divenne popolare?
1985. In quattro giorni. Nel 1987 ci hanno cacciato. Poi abbiamo riaperto. Oggi abbiamo cinque ristoranti e tre grandi sale storiche per manifestazioni. Due da mille persone e una da duemila.

Ha conosciuto Trump?
Poco. Lo ha conosciuto meglio mio figlio. Viene normalmente nei nostri locali. C’è una battuta che ha fatto prima di essere eletto. Quando gli hanno chiesto dell’Italia ha risposto: “Italia? Cipriani,  Harry’s Bar”.

Mi descrive la clientela dell’Harry’s?
Sono tutti clienti, per me. Al 99% non vengono per caso. E’ una clientela motivata.

Su Tripadvisor alcuni si lamentano per i prezzi alti e la forma dei bicchieri.
Non leggo Tripadvisor e sono sicuro che nemmeno i miei clienti lo leggono.

La domanda più frequente che le fanno i clienti?
Dove si sedeva Hemingway. Poi quanti anni ho e se lavoro ancora. L’unica differenza rispetto a qualche anno fa è che quando mi salutano adesso si alzano in piedi. Sarà rispetto per la vecchiaia.

Tutti hanno un sogno. Il suo?
Mi è appena arrivata un’automobile nuova ancora più potente. Una Mercedes 530 cavalli, carrozzeria alleggerita. Voglio tenere la testa e i riflessi in funzione, sentirmi vivo, insomma. Il mio sogno è diventare il 90enne più veloce del mondo.