Cinema

Future Film Festival 2017: apre ‘A monster calls’, fiaba gotica e percorso verso una elaborazione del lutto “mostruosa” ma efficace

Il Festival si chiuderà domenica 7 maggio con l’anteprima italiana di un altro attesissimo film: Alien: Covenant, l’ultima fatica di Ridley Scott che vede salire in cattedra nientemeno che Michael Fassbender

di Davide Turrini

Fazzoletti spianati, nasi soffiati, lacrimoni e occhi rossi. Il transfer collettivo della tragedia intima proiettata in una sala cinematografica ancora funziona. L’occasione è la prima di A monster calls diretto da Juan Antonio Bayona, film d’apertura in anteprima nazionale della 19esima edizione del Future Film Festival di Bologna. Fiaba gotica e cupa dove l’anello di congiunzione tra principio di realtà e sospensione di incredulità è incarnata proprio da un mostro. Un enorme tasso, nel senso dell’albero, nodoso e legnoso, gigantesco e ramificato arbusto che si anima con pupille infuocate e una devastante e brulicante forza di braccia e gambe, apparendo sempre a mezzanotte e zero sette nella vita di Conor, un 13enne mingherlino inglese, bullizzato dai compagni, con la mamma malata in fase terminale, e un rapporto mai nato con nonna e papà separato. L’ipotetico allontanamento mentale della disgrazia incombente da parte del protagonista si fonde con l’improvvisa sinistra e inquietante presenza arborea quasi che la seconda dovesse ricoprire un depistaggio di senso verso un cinema horror, apparizioni e sparizioni paurose, pericolo incombente verso l’incolumità di persone e cose. Ma così effettivamente non è. Pur nella sua terrificante presenza, il mostro invita Conor ad ascoltare tre storie che lui gli racconterà, mentre la quarta storia (“la verità dei tuoi sogni, del tuo incubo”) sarà il ragazzino ad esporla al mostro. Conor è riluttante, si dimena e si divincola, urla e sbraita, poi lentamente accondiscende alle istanze dell’albero/mostro, in un continuo ping pong spazio-temporale che imbeve il reale di un linguaggio fantasy che deve tutto ad un’animazione progressiva bidimensionale dal disegno su carta e acquerello del ragazzino che si trasforma in gesta antiche dei protagonisti delle storie raccontate dal mostro, fino alla tridimensionalità sovrabbondante e coinvolgente del mostro stesso.

Tratto da un romanzo illustrato di Patrick Ness, A Monster calls (nelle sale italiane per 01 Distribution dal 19 maggio 2017) è un denso e lungo percorso verso un’elaborazione del lutto che sembra poter tragicamente maturare soltanto con l’aiuto “mostruoso”, con quella forza oscura, subconscio mostrificato, che invade schermo e porzioni di spazio da occupare, design animato che ricorda il “collega” de Il Labirinto del fauno dello spagnolo Guillermo del Toro. Il mostro è materialmente interpretato, con somiglianza quantitativamente proporzionale, da Liam Neeson, autentica pertica che spesso si “abbassa” come i giganti coi nani nelle inquadrature dei film che interpreta per far stare dentro al quadro il comprimario o la comprimaria, e che qui dona anima e corpo alla tutina Mo-cap (Motion Capture), espediente effettistico che riproduce il movimento di un attore applicandolo ad una figura altra poi animata in post produzione. Ma è di fronte all’esordiente Lewis MacDougall (Conor), risorsa principale del film, che Bayona e compagnia devono inchinarsi. E’ il pallido ragazzino, corpo vulnerabile e nervoso, occhi enormi ed affamati, che con autenticità emotiva, trasmettendo un dolore quasi palpabile, trascina una partita di giro attoriale di richiamo (Felicity Jones, Sigourney Weaver) qui al minimo sindacale, in un viaggio/immersione nel dolore fin quasi a rimanere senza fiato. Peccato che a fronte di un budget da 43 milioni di dollari (che si vedono tutti fino all’ultimo cent) il film di Bayona abbia sfiorato appena i quaranta al box office. Opera comunque “colossale” e magniloquente che mette al centro un discorso preciso e un’attenzione spasmodica verso una maggiore performatività di oramai consolidate tecniche di animazione senza mai perdere d’occhio le lunghe ombre immaginifiche del passato sia citazionista/cinefilo (Conor che con la mamma osserva e soffre della brutta fine del King Kong del 1933 di Cooper e Schoedack giù dall’Empire State Building), sia della sinistra e ardita cupezza fiabesca di qualsiasi antenato letterario. E sempre  in tema di rimandi e ritorni mostruosi il Future Film Festival 2017 si chiuderà domenica 7 maggio con l’anteprima italiana di un altro attesissimo film: Alien: Covenant, l’ultima fatica di Ridley Scott che vede salire in cattedra nientemeno che Michael Fassbender.

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