Oltre agli anni di carcere, per i due Il giudice Tommasso Perrella ha disposto la pena accessoria della ‘estinzione del rapporto di lavoro con il Ministero dell’Economia e delle Finanze’
“Qui tutto il sistema è corrotto”. Un macigno, le parole del maresciallo capo della Finanza Antonio Izzo ai genitori di un aspirante finanziere ai quali chiedeva 1500 euro per la spintarella decisiva nel concorso per allievi sottufficiali Gdf 2015. Ne seguì una denuncia, l’inchiesta, le misure cautelari. Ed il processo. Che si è concluso con una sentenza severa. Due finanzieri accusati di aver chiesto tangenti sui concorsi sono stati ‘licenziati’. Il giudice di Napoli Tommasso Perrella ha disposto la pena accessoria della ‘estinzione del rapporto di lavoro con il Ministero dell’Economia e delle Finanze’ per Izzo e per un complice, il maresciallo capo nel contingente ordinario della Gdf, Massimo De Luca, in servizio presso il centro di reclutamento di Roma. Il magistrato li ha condannati rispettivamente a 5 anni e a 4 anni e 4 mesi, pena sospesa, e al risarcimento di 50mila euro ciascuno al ministero. Condannati a 4 anni anche due ‘clienti’ dei finanzieri infedeli. Lazzaro e Maria T., padre e figlia, sborsarono 50mila euro di cui poi ottennero la restituzione quando la ragazza, dopo aver superato le prime prove, venne respinta agli orali e vide sfumare il sogno del posto fisso. Le condanne sarebbero state aumentate di un terzo se gli imputati non avessero scelto il rito abbreviato. Un altro finanziere, Nicola Ponticiello, ha scelto il rito ordinario ed è stato rinviato a giudizio.
Fu corruzione, secondo il giudice, che ha modificato il capo d’imputazione originario della Procura di Napoli. L’inchiesta del procuratore aggiunto Alfonso D’Avino e dei pm Valter Brunetti e Giancarlo Novelli aveva ipotizzato il millantato credito. Le indagini furono condotte dal Nucleo Tributario Gdf di Napoli, agli ordini del colonnello Giovanni Salerno. La Finanza avanzò spedita, decisa ad estirpare l’erba cattiva del suo giardino, incoraggiò le famiglie ‘avvicinate’ a denunciare, imbottì di cimici la stanza di un indagato per ascoltare i colloqui compromettenti. L’ordinanza di custodia cautelare del Gip Nicola Quatrano fissò alcuni punti sopravvissuti nel dibattimento, qualificando il reato in corruzione perché secondo il magistrato non era plausibile versare la cifra ingente di 50mila euro senza qualche assicurazione concreta sull’esito del concorso. Che poteva consistere nel fatto che Izzo aveva già ‘piazzato’ sua figlia. Inoltre, la ragazza che aveva pagato la tangente era comunque riuscita a superare i primi step delle selezioni. Agli atti ci sono intercettazioni in cui i finanzieri indagati manifestano stupore per la bocciatura della loro cliente. Uno stupore “sincero” secondo il magistrato, che fa a cazzotti con la tesi di pochi imbroglioni senza agganci, e lascia intendere che un accordo corruttivo per truccare il concorso da qualche parte c’era stato. L’inchiesta però non è riuscita a dimostrare contatti tra i finanzieri e la commissione esaminatrice del concorso. Il Gip però sottolinea che De Luca lavorava al centro reclutamento, che ha un ruolo nelle procedure di selezione degli allievi.