“Il rischio oncologico per i sopravvissuti alle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki è stato individuato nella misura di ‘1,39 per tutti i tumori’, mentre il rischio individuale per un uso così massiccio e prolungato nel tempo di telefoni cellulari, secondo lo studio Interpone, è pari ad una misura di 1,44”. Così scrive il Giudice del Tribunale di Ivrea in una recente sentenza che ha già fatto molto parlare di sé: quella in materia di telefoni cellulari e tumori.
Il parallelismo potrà sembrare un po’ forzato. E lo stesso provvedimento giudiziale risulta, in qualche punto, abbastanza “tirato”. Tuttavia, in questa materia, nella nostra giurisprudenza non è una prima volta (e non è neanche l’ultima, dato che, appena pochi giorni dopo il deposito della motivazione del tribunale piemontese, a Firenze è stata emessa un’altra sentenza che parrebbe assai simile a quella in questione).
Già otto anni fa la Corte d’appello di Brescia, in una vicenda analoga a quella alla base del procedimento di Ivrea, aveva affermato che “un ruolo quindi, almeno concausale, delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia che ha patito il sig. Marcolin (il ricorrente, ndr) è ‘probabile’ (probabilità qualificata)”. Su quelle basi, pertanto, la Corte lombarda aveva dichiarato la natura professionale della malattia che aveva colpito il lavoratore: un “neurinoma del ganglio di Gasser”.
Gli elementi di similitudine tra i due pronunciamenti di giudici – lo si ricordi – del lavoro, ossia sostanzialmente civili, vanno oltre e toccano un terreno letteralmente minato in questo tipo di questioni: il rapporto tra scienza e diritto.
Il giudice di Ivrea, sul punto, afferma: “Gli unici studiosi che con fermezza escludono qualsivoglia nesso causale tra utilizzo di cellulari e tumori encefalici sono i professori Ahlbom e Repacholi, ma il Ctu nominato ha ben evidenziato i dubbi che suscitano gli scritti di questi autori, stante la loro posizione di conflitto di interessi, essendo il primo consulente di gestori di telefonia cellulare ed il secondo di industrie elettriche”.
A sua volta, la Corte d’appello bresciana, nello sciogliere l’apparente groviglio della questione della rispettiva affidabilità dei contrapposti studi scientifici introdotti nel giudizio dalle parti processuali, scriveva: “Inoltre, a differenza dello studio Iarc, co-finanziato dalle ditte produttrici di telefoni cellulari, gli studi citati dal dottor Di Stefano (consulente tecnico d’ufficio della Corte, n.d.r.) sono indipendenti”.
La sentenza del Collegio lombardo approdava, quindi, in Cassazione, su ricorso dell’Inail, e qui veniva integralmente confermata. Tra i passaggi particolarmente significativi della sentenza della Suprema Corte c’è proprio quello relativo al tema dell’indipendenza degli studi scientifici come garanzia di maggiore affidabilità degli stessi rispetto a quelli, invece, oggetto di sospette forme di mecenatismo da parte di soggetti industriali direttamente o indirettamente coinvolti nella “disputa”.
Orbene, pur in un linguaggio “prudente”, com’è consueto, il Supremo Collegio scrive: “L’ulteriore rilievo circa la maggiore attendibilità proprio di tali studi, stante la loro posizione di indipendenza, ossia per non essere stati cofinanziati, a differenza di altri, anche dalle stesse ditte produttrici di cellulari, costituisce ulteriore e non illogico fondamento delle conclusioni accolte”.
All’inizio di questo breve post si riportava il parallelismo, in senso lato, tra i cellulari e “la bomba atomica”, sotto il profilo del rischio oncologico. Potrà far sorridere qualcuno, ma si tratta di un assunto scientifico già esposto dalla Corte d’appello di Brescia nella sentenza poi confermata dalla Cassazione (che fa espresso riferimento, avallandolo, anche a questo specifico elemento). In ogni caso, se lo stato delle evidenze scientifiche sotto il profilo dell’accertamento del nesso causale non è ancora effettivamente univoco, è decisamente meno discutibile, però, che ci sia già materia per avviare, da parte delle istituzioni di tutela dell’ambiente e della salute pubblica, una seria campagna per un utilizzo appena più consapevole di quell’ingombrante (e sempre meno rassicurante) accompagnatore della nostra quotidianità che è il telefonino.
Obiettivo che, tuttavia, risulterà tristemente velleitario fino a quando saremo costretti ad assistere allo spettacolo, mirabilmente pedagogico, di “esperti” che, intervistati su una sentenza come quella da cui siamo partiti, per tranquillizzare gli ascoltatori dichiarano spavaldi di non usare mai, in chiave di protezione, nemmeno l’auricolare.
È il famoso ruolo civile della scienza secondo alcuni scienziati.