Molti “elementi di incertezza“. Carenze sul fronte della spending review. “Dubbi” sugli introiti che arriveranno dalle privatizzazioni e di conseguenza sulla effettiva capacità di ridurre il debito pubblico. Che anche nella migliore delle ipotesi si ridurrà, in rapporto al pil, di un ammontare “non sufficiente per assicurare il rispetto della regola” europea. A due settimane dall’atteso giudizio della Commissione Ue sui conti italiani, è l’Ufficio parlamentare di bilancio a mettere in discussione i numeri del Documento di economia e finanza firmato da Piercarlo Padoan e Paolo Gentiloni. Nel rapporto sulla programmazione di Bilancio, l’organismo indipendente che ha il compito analizzare e verificare le previsioni di finanza pubblica del governo mette nero su bianco che sullo scenario prefigurato dal governo – debito/pil in discesa nel 2018 al 131%, deficit/pil all’1,2%, crescita dell’1% – pesano vari elementi di incertezza.
Primo tra tutti “l’avvio di un percorso di normalizzazione della politica monetaria già nel 2018″. Insomma, quando nel 2018 Mario Draghi smetterà di comprare titoli di Stato dei Paesi deboli dell’Eurozona, tra cui l’Italia, è possibile che si registrino “aumenti non trascurabili del costo del servizio (interessi, ndr) del debito, maggiori di quanto già scontato nello scenario programmatico del Def”. E “ulteriori dubbi riguardano gli introiti derivanti dal piano di privatizzazioni (ridotto a 0,3 punti di pil l’anno), per valutare la credibilità del quale non sono stati forniti per ora elementi sufficienti, e una crescita del pil nominale che nell’arco di previsione si situa al limite superiore delle stime del panel Upb”. Di conseguenza anche sul percorso di calo del debito pesano “elementi di incertezza“, dopo che “il 2016 si è chiuso con un ulteriore seppur lieve incremento in rapporto al pil (al 132,6 per cento)”. Non solo: il profilo del rapporto debito/pil, seppure previsto in discesa, “non appare sufficiente per assicurare il rispetto della relativa regola numerica entro l’orizzonte di programmazione”, avverte l’ufficio presieduto da Giuseppe Pisauro.
In questa cornice, per raggiungere gli obiettivi programmatici fissati nell’ottobre scorso e mettere a segno “la disattivazione completa delle clausole di salvaguardia“, cioè gli aumenti automatici dell’Iva, c’è “la necessità di predisporre, nei prossimi mesi, misure almeno pari a circa 1 punto percentuale di pil nel 2018″, pari a circa 17 miliardi, “e a circa 1,5 punti percentuali nel biennio successivo”, oltre alle risorse per sostenere la crescita e l’occupazione. Per ora però le misure di correzione da adottare restano “indefinite“. Nel Def infatti “si parla genericamente di interventi riguardanti sia la spesa che le entrate, comprensive, queste ultime, di ulteriori azioni di contrasto all’evasione. Sul versante delle uscite, dovrebbe contribuire il nuovo processo di revisione della spesa, inserito a partire da quest’anno nel ciclo di bilancio e basato su un approccio top-down alla definizione degli obiettivi”.
Ma, nonostante il Def fissi “in almeno un miliardo all’anno i risparmi da conseguire da parte delle Amministrazioni centrali dello Stato”, l’applicazione della nuova procedura “sembra mancare di alcuni passaggi importanti per garantire una piena e coerente realizzazione degli obiettivi, per esempio l’indicazione nel Def dell’articolazione in entrate e spese programmatiche per sottosettori tra cui in particolare quelle dello Stato”.
Infine, l’Upb mette il dito nella piaga degli investimenti pubblici, che rischiano di costarci una procedura di infrazione ulteriore rispetto a quella minacciata per il deficit eccessivo: il “piano di investimenti pubblici legato alla richiesta di flessibilità nel 2016, previsto dalla relativa clausola, è stato solo in parte rispettato, anche a causa dei fisiologici ritardi dovuti all’inizio del nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali”. Questo “può aver contribuito alla riduzione del livello complessivo degli investimenti pubblici rispetto al 2015 (-4,5 per cento), una delle condizioni per la concessione della clausola”. Giovedì il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis ha anticipato che “dalla valutazione preliminare” della legge di Bilancio italiana per il 2017 e della manovrina correttiva da 3,4 miliardi “sembra che l’Italia sia in linea, ma le conclusioni finali saranno date nel pacchetto economico di primavera” atteso per metà maggio.