Il web provider statunitense Break Media è responsabile per aver pubblicato contenuti prodotti da Mediaset violando il copyright. Anche se caricati da terzi. Yahoo invece, almeno per il momento, non lo è. Il feullietton fra editori tradizionali e provider sul tema della violazione online del copyright si arricchisce di un nuovo episodio. Senza però che venga messa la parola definitiva ad un argomento su cui si discute da tempo anche a Bruxelles e che rischia di trasformarsi in un limite alla libertà di espressione via web. Novità potrebbero ben presto arrivare dall’Unione. “Bruxelles sta valutando la possibilità di modificare le norme facendo in modo che la responsabilità del provider non sia più a valle della pubblicazione, ma a monte”, spiega a ilfattoquotidiano.it Fulvio Sarzana, esperto di diritto dell’informazione. Che cosa significa esattamente? “Si sta valutando la possibilità di introdurre a carico dei provider un obbligo di controllo preventivo dei contenuti. Inclusi quelli caricati da terzi – precisa Sarzana – ma così c’è il rischio concreto di limitare la libertà alla circolazione delle informazioni online”.
Intanto, in attesa di Bruxelles, nelle aule di tribunale si moltiplicano le cause fra editori tradizionali e provider. Fra queste, il caso Break Media che segna un punto a favore dei primi. Nella sentenza, datata 29 aprile 2017, la Corte di appello di Roma ha infatti confermato la condanna per Break Media per “cooperazione colposa mediante omissione” nella diffusione illecita di programmi televisivi Mediaset. Per il gruppo di Cologno Monzese si tratta di un “ulteriore passo in avanti nella giurisprudenza che definisce sempre più chiaramente uno degli illeciti più dannosi per chi investe realmente nella produzione di contenuti originali, ovvero gli editori: il furto di contenuti a fini di lucro ad opera di piattaforme digitali”. Anche perché i giudici hanno stabilito che il provider abbia un “obbligo attivo di intervento e protezione” nel blocco dell’illecito.
“La sentenza su Break Media rappresenta un importante passo in avanti nella tutela dei contenuti audiovisivi”, spiega a ilfattoquotidiano.it Federico Bagnoli Rossi, segretario Generale di Fapav, la Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali fondata nel 1988 da Anec, Anica, Mpa e Univideo a difesa di proprietà intellettuale, diritto d’autore e contro l’illecita duplicazione di contenuti. “Negli ultimi mesi numerose importanti decisioni e sentenze hanno rafforzato la difesa dei contenuti: a partire dal Tar del Lazio che ha respinto il ricorso contro il regolamento Agcom fino alla recente sentenza della Corte di giustizia europea che ha riguardato l’illiceità della vendita dei lettori multimediali utilizzati per lo streaming pirata. Il tema della difesa dei contenuti è inoltre al centro dell’attenzione anche a livello europeo nell’ambito della riforma del Mercato Unico Digitale perché il copyright è un motore per la crescita dell’industria culturale”.
La partita relativa alla regolamentazione online del diritto d’autore e alle responsabilità del provider nella distribuzione dei contenuti è insomma ancora decisamente aperta. Lo testimonia il fatto che la stessa Mediaset aveva citato in giudizio anche Yahoo! per il servizio di condivisione video. In prima battuta, nel 2011, il tribunale di Milano aveva dato ragione al gruppo della famiglia Berlusconi, ma la Corte d’appello aveva poi ribaltato completamente la sentenza stabilendo che il gruppo americano è un semplice intermediario passivo e che quindi non è tenuto ad individuare autonomamente contenuti in violazione dei diritti di Mediaset. La parola sul caso Yahoo-Mediaset spetta ora alla Corte di Cassazione che potrà però riaprire la questione solo in caso di eventuali vizi di forma della sentenza.