Dopo aver solleticato la fantasia di Isaac Asimov e degli autori di Star Trek, la stella Epsilon Eridani continua a far sognare gli astronomi: il giovane sistema planetario che le ruota intorno è infatti dotato di due fasce di asteroidi e detriti proprio come il Sistema solare, e per questa straordinaria somiglianza potrebbe essere usato come una macchina del tempo per ricostruire gli eventi che hanno portato alla sua formazione. Il dato, già emerso nel 2008 grazie al telescopio Spitzer della Nasa, viene ora confermato dalle osservazioni fatte con il telescopio a infrarossi montato sull’aereo 747 ‘Sofia’ (Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy) dalla Nasa e dall’agenzia spaziale tedesca (Dlr).
We’ve found a planetary system that is very much like our own, based on data from our airborne @SOFIAtelescope: https://t.co/9MsUgBnK4z pic.twitter.com/rGooTwmW9f
— NASA (@NASA) 2 maggio 2017
I risultati sono pubblicati su The Astronomical Journal dal gruppo di ricerca coordinato dall’astronoma Kate Su dell’università dell’Arizona, a cui ha preso parte anche l’italiano Massimo Marengo dell’Università dell’Iowa. La giovane stella Epsilon Eridani ha un quinto dell’età del Sole, da cui dista 10,5 anni luce. “Il suo sistema planetario – spiega Marengo – sta attraversando gli stessi sconvolgimenti che hanno interessato il Sistema solare in gioventù, all’epoca in cui si formavano i crateri sulla luna, gli oceani di acqua comparivano sulla Terra insieme alle condizioni favorevoli allo sviluppo della vita”. Le osservazioni fatte nel 2015 con il telescopio volante Sofia hanno permesso di chiarire la disposizione del disco di detriti ‘avanzati’ dalla formazione del sistema planetario. “Ora possiamo affermare con sicurezza che la cintura interna e quella esterna sono separate, probabilmente dai pianeti. Ancora non li abbiamo identificati – aggiunge il ricercatore – ma sarei sorpreso se non ci fossero. Per osservarli avremo bisogno di strumenti di nuova generazione, come il telescopio spaziale James Webb della Nasa che sarà lanciato nell’ottobre del 2018”.
Lo studio su The Astronomical Journal
Immagine by NASA/SOFIA/Lynette Cook