“Queste pallottole sono per te e per gli altri”. È questo, in sintesi, l’avvertimento fatto recapitare al giudice Alfonso Barbarano, presidente della quinta Corte d’Assise dove da un anno è in corso il processo per la morte di Fortuna Loffredo, la piccola di sei anni violentata e uccisa il 24 giugno del 2014 al Parco Verde di Caivano (Napoli). Era già capitato a dicembre scorso, solo che in quel caso le minacce erano indirizzate a un familiare del giudice. Questa volta, inoltre, il messaggio chiuso in una busta è stato accompagnato da due proiettili. Un episodio inquietante, che rende ancora più pesante il clima che si è venuto a creare attorno a una vicenda drammatica e dai contorni non ancora chiari.
LE MINACCE AL GIUDICE E L’INDAGINE – La busta è stata spedita al Tribunale di Napoli pochi giorni fa e nel capoluogo campano sono in corso i primi accertamenti. Come riporta il quotidiano Il Mattino, gli atti sono stati però trasmessi alla Procura di Roma che, competente per i procedimenti che riguardano i magistrati napoletani, coordinerà le indagini. Tra le prime verifiche, quelle sui proiettili a cui stanno lavorando gli uomini della polizia scientifica per cercare di risalire a eventuali tracce lasciate dagli autori del messaggio e quelle tese a confrontare il biglietto intimidatorio indirizzato al giudice, con quello inviato il 21 dicembre scorso e di cui si è saputo solo a febbraio. In quel caso il messaggio fu fatto recapitare proprio il giorno del compleanno del magistrato, che denunciò l’episodio ai carabinieri. Anche quella vicenda è al vaglio della Procura di Roma. In entrambi i casi chiari i riferimenti al processo in corso a Napoli sulla morte della piccola Fortuna Loffredo. Quanto accaduto contribuisce ad alimentare la tensione attorno alla vicenda di Caivano, tanto da richiedere la massima collaborazione tra le Procure di Napoli e Roma, ma anche quella degli inquirenti di Napoli nord, che hanno seguito l’inchiesta dall’inizio arrivando, nonostante il muro di omertà, agli arresti dei due imputati nel processo. Un procedimento che sta andando avanti tra mille difficoltà, verità nascoste, accuse reciproche, ammissioni e smentite.
IL PROCESSO – La prossima udienza è prevista per il 10 maggio con l’esame degli imputati. Alla sbarra Raimondo Caputo, detto Titò, accusato dell’omicidio di Fortuna e delle violenze sessuali ai danni della bambina e delle tre figlie della sua ex convivente, Marianna Fabozzi. È stata proprio una di loro, l’amica del cuore di Fortuna, a contribuire in maniera decisiva al quadro accusatorio. Ma imputata in questo processo è la stessa Fabozzi, che risponde di concorso in violenza sessuale in quanto, secondo la Procura, avrebbe saputo degli abusi subiti da almeno una delle sue figlie da parte di Caputo e non avrebbe fatto nulla per impedirlo, invitandola anzi al silenzio. A rendere la vicenda ancora più oscura, però, è un’altra storia, avvenuta un anno prima che Fortuna Loffredo fosse lanciata dall’ottavo piano della palazzina del Parco Verde dove viveva con la madre. La storia è quella di Antonio Giglio, il bambino di tre anni, anche lui figlio di Marianna Fabozzi che morì in circostanze simili dopo un volo dalla finestra dell’appartamento della nonna il 27 aprile 2013. Per la sua morte l’unica indagata, accusata di omicidio volontario, è proprio la madre. E sono in molti, in primis gli avvocati della famiglia Loffredo, a essere convinti che se non si chiariranno le circostanze sulla morte del bambino sarà difficile arrivare a una piena verità. Anche per Fortuna.