Una buona notizia per la ricerca universitaria in Italia: il Miur ha autorizzato le primissime chiamate dirette dei vincitori di borse Marie Skłodowska-Curie. Si tratta di ricercatori esperti già in possesso del Dottorato di Ricerca (o di almeno 4 anni di esperienza full time nella ricerca) che, dopo aver superato una rigorosa competizione internazionale, hanno ottenuto una Individual Fellowship delle Marie Curie-Skłodowska Actions.
Attraverso il decreto 965 della fine del 2015, il Miur ha inserito le Individual Fellowships tra i programmi di alta qualificazione finanziati dall’Unione Europea e si è impegnato a cofinanziare la chiamata diretta dei vincitori come ricercatori di tipo B che, dopo tre anni, possono diventare professori associati. Grazie alla sovvenzione, questi ricercatori hanno potuto svolgere un periodo di mobilità di due o tre anni in una istituzione o centro di ricerca di un paese europeo o extraeuropeo allo scopo di sviluppare la loro carriera e valorizzare il proprio potenziale creativo e innovativo attraverso l’acquisizione di nuove competenze, e al contempo, di trasferire le proprie conoscenze nella struttura ospitante.
Gli effetti positivi dell’inclusione dei Marie Curie Researchers nel sistema universitario italiano sono molteplici. Da un lato, viene incentivata la scelta delle istituzioni italiane come “host institution” da parte dei ricercatori stranieri attratti dalla possibilità di restare nel Belpaese dopo il periodo di durata della borsa: la presenza di ricercatori non italiani che trasferiscono nelle nostre università tutto il loro bagaglio di competenze acquisite nel paese di provenienza non può che avere una proficua ricaduta sia nell’avanzamento della conoscenza sia nell’accrescimento degli scambi e dell’internazionalizzazione della ricerca con la conseguente crescita di competitività del nostro Paese. Dall’altro, la stabilizzazione di ricercatori italiani che hanno scelto il loro paese per la fase di rientro dopo un periodo di mobilità in un Paese Terzo, come ad esempio Cina e Stati Uniti, consente di trattenere figure altamente qualificate in grado di far fronte alle difficili sfide economiche e tecnologiche che si prospettano in un futuro non troppo lontano e in una società sempre più complessa.
È possibile sottoporre la proposta di progetto ogni anno a partire da aprile. La call per il 2017 è aperta da qualche giorno e ci si può candidare sino al 14 settembre. I ricercatori devono possedere un ottimo curriculum ed avere una propria “identità” e indipendenza scientifica che potrà essere ulteriormente sviluppata attraverso il “training” previsto nel progetto. I risultati saranno pubblicati a febbraio del 2018.
Nel 2016 i ricercatori vincitori di una Marie Skłodowska-Curie Fellowship che hanno scelto una struttura ospitante in Italia sono 60. Il maggior numero di fellowships lo ha conquistato il Cnr seguito a pari merito dall’Università di Padova e dall’Università di Venezia; quest’ultima ha pure ottenuto per prima la chiamata diretta di una sua Marie Curie Researcher.
C’è da rilevare che, per numero di borse finanziate, l’Italia si piazza solo in settima posizione dopo Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania, Olanda e Danimarca. Non è un dato confortante, soprattutto se si confronta con quello della Spagna (nella foto) che ha ottenuto centoventi fellowships e guadagnato numerose posizioni rispetto al 2015. La ragione di questo non lusinghiero risultato, forse, va anche ricercata nella reputazione dell’università italiana all’estero, dove il nostro sistema è considerato non solo troppo gerarchizzato, ingessato e corrotto, ma anche incapace di offrire reali possibilità per continuare a svolgere attività di ricerca a causa della carenza di strutture e di fondi. La conseguenza è che i ricercatori stranieri sono scoraggiati a presentare le loro proposte in Italia e gli italiani per rientrare in Europa dopo un periodo di mobilità in un Paese extraeuropeo portano i fondi da un’altra parte. La mancata ricchezza per la perdita di questo capitale umano che ha scelto la mobilità per ampliare competenze e conoscenze non è quantificabile. Tuttavia, è sotto gli occhi di tutti che nei Paesi che hanno saputo attrarre ricercatori altamente qualificati le economie sono più stabili e i tassi di disoccupazione più bassi.
Nonostante sia ancora esiguo il numero di richieste inviate dagli atenei italiani al Miur per la chiamata diretta dei Marie Curie Researchers, la loro difficoltà a veder riconosciuta nel contesto accademico italiano una professionalità pienamente matura e in grado di ottenere ulteriori risorse nel nostro Paese, l’iniziativa adottata dal Miur è un investimento che contribuisce a superare qualche criticità e ad attirare i migliori ricercatori.
Dell’impatto del programma europeo di mobilità che ha da poco festeggiato i vent’anni dalla nascita e i 100.000 ricercatori che ne hanno usufruito, si discuterà l’11 e il 12 maggio nel corso della conferenza “Mobility takes research further” organizzata a Malta, in occasione del semestre di presidenza europeo.