Il Paese che va alle urne per scegliere il successore di Hollande fatica a formare un blocco repubblicano contro la leader dell'estrema destra. A Parigi, nei quartieri dove la sinistra di Mélenchon ha fatto il pieno, si combatte tra malumori e delusione, mentre nel centro della capitale politici e intellettuali organizzano un forum contro l'astensione: "Il fenomeno di normalizzazione di Marine Le Pen è sottostimato"
Kharim ha deciso di diventare tassista di Uber da un anno e mezzo e con la sua auto fa avanti indietro per le strade di Parigi almeno dieci volte al giorno. “Certo che è un buon affare, se no lo avrei già mollato”. La sera prima del silenzio elettorale per l’elezione del presidente della Repubblica in Francia, è lui che viene chiamato per portare la gente a la Maison de la Chimie. In programma: il Forum Republicain, una maratona di otto ore con interventi di politici e intellettuali contro l’astensione. “Ma qui non c’è nessuno”, ride mentre accosta davanti a un palazzo elegante nel centro della Capitale, a pochi passi dall’Assemblea nazionale. “E come pensano di convincere le persone ad andare a votare? Io di sicuro non mi muovo da casa per andare a mettere la croce su uno di quei due stupidi”. Dentro, nella sala con le poltrone rosse e un grande manifesto con la faccia di Marine Le Pen come scenografia, si alternano intellettuali e politici: dal filosofo Bernard-Henry Levy, al direttore del quotidiano Libération Laurent Joffrin fino all’ex primo ministro Manuel Valls e all’ex ministra Ségolène Royale. E hanno tutti lo stesso messaggio: “Domenica bisogna votare per Emmanuel Macron per evitare il Front National”. In platea un centinaio di persone, qualche giovane e molte teste con i capelli bianchi. “Siamo qui perché siamo preoccupati”, dicono, “ma il vero problema è che è stato sottostimato il fenomeno di normalizzazione di Marine Le Pen e per la società non è quasi più un pericolo”. E al favorito per la presidenza rivolgono un appello: “Ascolti il grido di chi preferisce stare a casa pur di non votarlo”.
Archiviati gli anni del blocco repubblicano contro l’estrema destra, resta una Francia nascosta che non si riconosce nei due candidati e che non ha nessuna intenzione di andare a votare. E’ una Francia lacerata che, se si presenterà alle urne, lo farà con fatica e per senso di responsabilità. Lo raccontano i sondaggi che, in rapporto alle scorse elezioni, danno l’astensione e i voti bianchi in aumento. Lo raccontano le piazze semi vuote che non riescono a mobilitare le persone. La frattura della società si vede, nel suo piccolo, anche a Parigi. Kharim, che di mestiere ha scelto Uber, viene da Barbès-Rochechouart, uno dei quartieri del Nord con più alto numero di immigrati africani e magrebini. Lui è sicuro: al secondo turno non andrà a votare. “A me non importa se vince la Le Pen. Che cosa vuole farmi? Io sono francese”. Ha una famiglia tunisina e una moglie italiana, ma quello, spiega, non deve farlo considerare diverso agli occhi dello Stato. “La Francia sta in piedi perché ci sono gli stranieri che lavorano: al supermercato, nelle cucine dei ristoranti e nelle fabbriche. Marine Le Pen crede di fare paura? Paura è una parola grossa e la si usa per altre cose”. Kharim ride ancora. “E pensare che vuole abolire Uber. Che barzelletta: non sa che siamo centinaia e che le blocchiamo la città se anche solo prova a farlo”. Per lui la politica è un “cinema”, lontano dalla gente e lontano dai problemi veri. C’è solo un candidato che lo ha convinto ed è il leader della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon perché “pensa ai lavoratori come me”. Ma comunque non lo ha votato al primo turno. Dalle parti da cui viene Kharim, che sono poi a pochi chilometri dai palazzi del potere, la France Insoumise di Mélenchon ha preso il massimo dei voti. E per le strade del 20esimo arrondissement, quando mancano poche ore all’apertura delle urne c’è solo amarezza. Il luogo simbolo è il bar Lieu Dit: da 13 anni è il raduno di intellettuali e militanti di sinistra che non si riconoscono nella politica tradizionale. Un posto quasi dimenticato per molto tempo, ma che negli ultimi mesi è diventato il centro di una forza di contestazione. La sera del primo turno erano in un migliaio a sperare in Mélenchon davanti al maxischermo e ancora non si sono ripresi dalla delusione: “Io andrò a votare”, dice il cameriere, “ma sono uno dei pochi qua dentro. Io sono pronto a tutto perché la Le Pen non vada al potere, però capisco la scelta di chi non ci sta a mettere la croce su Macron”. Il leader della France Insoumise ha scelto di non dare indicazioni, pur escludendo il Front National da ogni discussione, e ha lanciato una consultazione in rete tra i suoi militanti per decidere come fare: ha vinto l’astensione.
I malumori dei quartieri dimenticati, molto probabilmente, non basteranno per rivoltare gli esiti delle elezioni. Ma hanno spaventato parte della società civile che in testa ha ancora le immagini del 2002, di quando Jean-Marie Le Pen arrivò al secondo turno e tutti furono compatti nel scendere nelle piazze e schierarsi contro l’estrema destra. Al forum repubblicano, in tanti sono andati per ritrovare quello spirito e ne sono usciti ancora più preoccupati. “C’è il rischio che le persone non vadano a votare”, dice Youssef, 28 anni e ingegnere, “lunedì in Francia è festa. Secondo me chi se lo può permettere parte in vacanza ed è proprio quello l’elettorato di Macron. Siamo martellati da mesi a proposito della crescita del Front National e ora non fa più paura. E invece sarebbe una tragedia per l’immagine della Francia e per il suo futuro economico”. E’ come se, raccontano i partecipanti del Forum Republicain, ci fosse stato un lento adattarsi al discorso e al modo di porsi della leader del Front National. Tanto da non farla più sembrare un pericolo per la democrazia. “E’ mancata la vigilanza di intellettuali, media e politica di fronte alla dédiabolisation di Marine Le Pen”, racconta Jean Pierre Le Dantec, uno che negli anni ’70 si definiva militante maoista e che ora si definisce scrittore. “Il Front National è riuscito a farsi passare come normale, ma non è vero. La società è anestetizzata: da una parte i giovani non hanno ricordo della guerra e faticano ad avere paura del ritorno del fascismo, dall’altra la mondializzazione ha portato con sé una grave crisi che ha esacerbato gli animi”. Le Dantec ora è tra i primi sostenitori di Macron: “Penso che la mia generazione abbia commesso molti errori e vedo nel leader di En Marche! un politico capace e concreto”. Yanis invece ha 23 anni e fa lo studente di relazioni internazionali. Se ne va tra gli ultimi con un volantino arrotolato tra le mani: “Lo porterò ai miei amici che non vogliono andare alle urne”, dice. “A me che sento di essere di sinistra fa male votare Macron, ma sento che è necessario. Vorrei però che lui ascoltasse le proteste di chi non vuole andare a votare per lui e che gli tendesse la mano. Ma purtroppo vedo tutto il contrario”. Sospira prima di mettersi la giacca: “Quando mi passa la voglia di andare al seggio, mi ripeto dentro la testa che è meglio fare opposizione in un sistema democratico piuttosto che in uno autoritario dove comanda Marine Le Pen. Almeno per ora non ho cambiato idea”.