Archiviato il duello con l'estrema destra di Marine Le Pen, per il neo-eletto presidente della Repubblica inizia la corsa contro il tempo per dimostrare che fa sul serio. Tra le priorità da affrontare: la disoccupazione, emergenza terrorismo, rapporti con Bruxelles. Fondamentale saranno le prossime elezioni legislative (che stabiliranno se avrà la maggioranza in Parlamento) e la formazione del governo che deve essere politico, ma di rottura al tempo stesso
Un detto arabo che i francesi amano citare dice: “Non abbassare mai le braccia, rischi di farlo due secondi prima che succeda il miracolo”. Ora che il miracolo Emmanuel Macron l’ha fatto, lui il capo di Stato più giovane dai tempi di Luigi Napoleone, lui pupillo del sistema che si è mangiato i suoi stessi padri, non può ancora abbassare le braccia rivolte al cielo. Inizia oggi la sua corsa contro il tempo per dimostrare che faceva sul serio. La lista dei progetti sul tavolo è ai limiti del possibile: formazione di un governo credibile e di rottura al tempo stesso; ricerca di una maggioranza in Parlamento; riforma del lavoro rafforzando il Jobs act alla francese e sfidando i sindacati; debutto a Bruxelles carico di aspettative con, come alleata, la solita Germania; gestione della sicurezza nel Paese tra paure e minacce effettive. E ultimo, ma non ultimo, mantenere alta l’illusione che le cose miglioreranno in un modo o nell’altro, magari continuando ad alimentare la retorica del “non c’è altra scelta”. Il suo staff lo ripete da giorni: “Dobbiamo agire in fretta, farlo subito e farlo prima che se ne accorgano i cittadini”. Lui, quasi annoiato, replica che “non vede l’ora che si parli di altro che non sia il duello con Marine Le Pen”. Detto e accontentato. L’ex ministro dell’Economia ed ex banchiere, nonostante il racconto da copertina sul suo essere alternativo al sistema, conosce bene le stanze del potere e sa che tutto si gioca nei primi mesi. E’ arrivato al potere sull’onda dell’entusiasmo di un mondo che finalmente ha visto qualcosa e qualcuno capace di opporsi al populismo, ora deve farlo durare. “E’ stata fortuna”, dicono i suoi detrattori a destra e sinistra. Di fortuna ne ha avuta molta e il vero talento è l’averla saputa sfruttare. Ora Macron ha tutto da perdere e poco da vincere. O si può dire con una frase di Napoleone (questa volta quello vero) che nello staff dell’ex ministro amano riportare: “Vincere non è niente, bisogna saper sfruttare il successo”.
L’impresa: scegliere politici, ma di rottura. E sperare nella maggioranza
Il primo ostacolo si chiama primo ministro. La scelta di chi guiderà il prossimo esecutivo è molto più che simbolica: serve un volto politico, ma di rottura. Di nomi se ne sono fatti tanti: ad esempio il ministro della difesa uscente Jean-Yves Le Drian, oppure la repubblicana Nathalie Kosciusko-Morizet. L’alleato centrista François Bayrou sarebbe a suo modo perfetto, ma incarna l’immagine della vecchia politica. Tra i papabili anche il segretario generale di En Marche! Richard Ferrand o addirittura il rottamatore socialista in Provenza Christophe Castaner. Qualcuno ha parlato della ex presidente degli industriali Laurence Parisot, ma dal gioco si è tirata fuori lei da sola. La vera preoccupazione per Macron però si gioca alle legislative del giugno prossimo: nelle urne per scegliere i deputati dell’Assemblea nazionale lui ha bisogno di ottenere una maggioranza stabile per evitare il peggior nemico di ogni presidente, ovvero la coabitazione. Per evitarla dovrà organizzare le candidature con un occhio attento sulla grande corsa al carro del vincitore. Stando agli ultimi sondaggi pubblicati da Les Echos, potrebbe arrivare ad ottenere quasi 280 seggi sfiorando la maggioranza assoluta. A quel punto le strade sono due: o cercare una coalizione con un’altra forza (e l’ex primo ministro Manuel Valls sogna di essere quella forza con un gruppo di deputati indipendenti) o andare avanti creando alleanze di volta in volta sui temi. Macron ha fatto una scelta, arrogante per molti, strategica per altri: tra il primo e il secondo turno non ha fatto concessioni a nessuno in cambio di voti. E’ una decisione che, almeno a livello teorico, gli dà forza e legittima il programma.
Riforma del Lavoro: “Agire in fretta e prima che se ne accorgano i sindacati”
La vera sfida, quella su cui si gioca tutto Macron, è la riforma del lavoro. Lui è stato uno dei registi del Jobs act in salsa francese, la famosa loi El Khomry tanto contestata, ma anche il firmatario della loi Macron sulle liberalizzazioni quando era ministro dell’Economia sotto il governo Valls. Ora la sua priorità è intervenire per superare, cioè rafforzare, la legge sul lavoro. La prima decisione che farà discutere è che userà i decreti: “Deve agire prima che i sindacati abbiano tempo di intervenire e prima che se ne accorgano i cittadini”, spiega a ilfattoquotidiano.it Laurence Parisot, ex presidente degli Industriali (Medef) e tra le principali collaboratrici di Macron. “Ci sarà una riduzione dei diritti? No, io direi che si ridurranno dei vantaggi che però potrebbero essere compensati con un aumento dell’offerta di lavoro e la riduzione della disoccupazione”. Le sue parole chiave sono liberalizzazione e semplificazione. Per questo vuole innanzitutto intervenire sulle indennità che vengono date dai tribunali dei lavoratori (prud’hommes) a chi viene licenziato abusivamente: secondo Macron servono dei limiti perché gli imprenditori evitano di assumere per paura poi, in caso di cessazione del contratto, di dover pagare cifre elevate. Propone inoltre di modificare la settimana lavorativa di 35 ore e di derogare a un accordo tra lavoratori e aziende per quanto riguarda la paga degli straordinari. Tra le idee c’è anche quella di permettere ai dipendenti di chiedere referendum sul posto di lavoro senza passare dai sindacati, che sarebbero così ridimensionati. Infine vuole introdurre il “diritto all’errore”, ovvero la possibilità di non essere sanzionati al primo richiamo dell’amministrazione se ci sono delle irregolarità nelle pratiche di imprenditori, agricoltori o dipendenti. In agenda ci sono poi anche altri due interventi: la riforma dell’assicurazione per i disoccupati e la riforma dei periodi di formazione per chi perde il lavoro. In entrambi i casi si tratta di rendere più severe le condizioni di accesso, ma cercando di estendere la platea che può beneficiare degli aiuti.
Europa: la svolta, ma con la solita Germania
Una delle svolte che hanno fatto di Macron il candidato favorito è stata quella di presentarsi ai comizi con la bandiera dell’Europa. Che sia stato coraggio o strategia, per opporsi al discorso populista gli è bastato dire che per lui il progetto dell’Ue era fondamentale senza bisogno mai di entrare veramente nel dettaglio di quello che farà. Di sicuro la leadership a due con la Germania di Angela Merkel non verrà toccata. Che significa poco spazio per un cambio di equilibri nella stanza del potere di Bruxelles. Poco dopo la vittoria alle primarie di Matteo Renzi, Macron in persona gli ha scritto dicendo “cambieremo insieme questa Europa”. Ma come e con che tempi? Nel concreto lui propone la creazione di una governance della zona euro: ovvero un budget, un ministro dell’Economia e un parlamento di chi ha la moneta comune. Inoltre, come soluzione ai problemi dell’Unione europea, auspica alleanze variabili a seconda delle tematiche trattate. Dal suo staff ci tengono a specificare che “dire di essere pro Ue non significa che lascerà le cose come stanno. Chiede e vuole riforme”. Che vanno dall’introduzione dei comitati cittadini per verificare che i trattati commerciali con l’Ue siano rispettati fino all’armonizzazione dei diritti dei cittadini dell’Unione europea stabilendo degli standard a cui non si può derogare. Macron ha anche detto che vuole un’Europa che “protegge” e quindi più misure anti-dumping. Tanti annunci che avranno come primo ostacolo la lentezza burocratica delle istituzioni europee.
Sicurezza: terrorismo e immigrazione incrociando le dita
Il capitolo più complicato di tutti resta la sicurezza. La Francia travolta dalla lunga serie di attentati terroristici vive in Stato d’emergenza permanente. I candidati alla presidenza sono stati sul tema tutti più o meno concordi: bisogna aumentare le spese in materia di difesa. Macron ha proposto un più due per cento del Pil, la creazione di 10mila nuovi posti delle forze dell’ordine e almeno 15mila posti in più nelle carceri. Tra le misure spot, il neopresidente durante la campagna elettorale aveva anche messo l’introduzione del servizio militare obbligatorio di un mese. Il punto più delicato è sicuramente la gestione delle persone segnalate come “S”, ovvero quelle ritenute radicalizzate e vicine alle battaglie dell’Isis. Il neopresidente nel programma parlava della nascita di piccoli centri “di recupero” per accompagnare il reinserimento nella società. Esperimenti simili però sono già stati provati da Hollande con risultati fallimentari. L’impresa sarà quella, come si legge tra le sue priorità, di riuscire a migliorare le comunicazioni nei servizi segreti francesi per prevenire gli attacchi sul territorio. A suo modo legato alla sicurezza, c’è sicuramente l’approccio sull’immigrazione: se la sua avversaria Le Pen ne voleva lo stop senza condizioni, lui si è detto contrario all’introduzione di una quota di persone che è possibile accogliere, ma ha comunque parlato della necessità di rafforzare le frontiere europee aumentando il personale assegnato ai controlli sul territorio. Le sue proposte sul tema in generale sono molto più vicine ai colleghi Repubblicani e a volte allo stesso Front National, ma in questo settore come non mai a decidere sarà la cronaca. Il consenso per il presidente uscente è stato affossato proprio dai tanti attentati che ha dovuto gestire, pagando anche per colpe che non erano direttamente imputabili a lui. Macron lo ha ripetuto nei comizi fino allo stordimento: “Sono pronto”. Ora deve dimostrarlo, con le braccia alzate perché la buona stella non lo abbandoni proprio adesso.