La recente e non ancora conclusa fuga di Igor/Norbert ha, tra gli altri aspetti, fatto conoscere e rilevare che uno dei tanti motivi della sua irreperibilità è facilitata anche dalla diffusione, su tutto il territorio della Bassa, di una quantità rilevante di ruderi di ex case rurali che potevano costituire un giaciglio temporaneo sicuro.
Chi percorre per la prima volta le zone del modenese, ferrarese e bolognese, non può che rimanere colpito dalla quantità di edifici rurali fatiscenti, il più delle volte semidistrutti e con tetti scoperchiati: sono le cosiddette “unità collabenti” catastalmente non soggette a obbligo di denuncia perché non reddituali.
Fenomeno sorto tra gli anni 50/60 quando, in pieno processo di industrializzazione, pur in zone agricole altamente produttive, si sono progressivamente abbandonate le case degli avi favorendo l’urbanizzazione, ma ancor peggio, l’edificazione del nuovo, purtroppo di qualità quasi sempre scadente.
Il tranquillo paesaggio rurale emiliano si è via via snaturato con agglomerati di capannoni, terrificanti centri commerciali e improbabili e pretenziose villette. Cosicché la variegata tipologia di edifici agricoli/residenziali, tra i più interessanti dell’Italia contadina, è andata sgretolandosi.
Le cosiddette case mezzadrili e bracciantili, gli edifici a elementi giustapposti, nonché le distaccate stalle/fienili con portici frontali ed alti pilastri o quelle con archi, le “caselle” sono impresse nella memoria collettiva in quanto tutt’uno con il paesaggio rurale emiliano. Pregevoli anche altre e più “alte” tipologie residenziali, con case con cappella annessa, case fortificate e i casini di caccia.
Dopo il rovinoso sisma, di cui tra poco ricorreranno i 5 anni, molti di questi edifici rurali, a principale scopo agricolo, dismessi da anni, sono stati ammessi a finanziamento e questo ha suscitato perplessità e addirittura nascita di comitati che denunciano presunte irregolarità nell’assegnazione di fondi pubblici. Quando viceversa edifici residenziali costruiti dopo gli anni 80 e sempre adibiti a questo scopo, erano stati non supportati finanziariamente dalla Regione Emilia Romagna.
Ora, non conoscendo i singoli casi e le singole pratiche, mi viene spontaneo affermare che, sul piano strettamente giuridico legale, forse è giusto l’appello dei vari Comitati di protesta e senz’altro bisogna effettuare controlli, ma sul piano estetico e di tutela del paesaggio agreste, purché siano stati rispettati criteri di intervento coerenti con i principi del restauro, con materiali e tecniche adeguati ed idonei, stilemi e sagoma ripresi rigorosamente, bene ha fatto la Regione, sufficientemente attenta alla tutela nella ricostruzione, ad appoggiare questi recuperi.
In sostanza meglio non finanziare la ristrutturazione di brutti edifici residenziali recenti ma recuperare il patrimonio edilizio rurale pregevole, parte integrante del paesaggio, anche se da anni dismesso, torno a sottolineare purché secondo i principi del rigoroso restauro filologico. Anche queste uniche irripetibili presenze di interesse testimoniale, storico ed architettonico poco conosciute di una parte d’Italia, sono pietre da preservare per la nostra memoria e il mantenimento della bellezza.